Novantasette morti, quasi 950 feriti che faticano a raggiungere gli ospedali, la capitale Khartum senza acqua ed elettricità. È il bilancio di tre giorni di scontri in Sudan, dove le Forze di sostegno rapido (Rsf), un gruppo paramilitare guidato dal generale Mohamed Hamdane Daglo, detto “Hemetti”, ha tentato un golpe contro il governo militare di Abdel-Fattah Burhan. Dal G7 Esteri, in corso in Giappone, è arrivato un appello a cessare le ostilità, ma la situazione resta confusa e preoccupante anche dal punto di vista internazionale. I due schieramenti sudanesi possono contare su importanti appoggi esterni: Hemetti è sostenuto dai russi della milizia Wagner mentre Al-Burhan ha il supporto di Cina, Egitto e Arabia Saudita. Il rappresentante del Sudan presso la Lega Araba, Al-Sadiq Omar Abdullah, partecipando a una riunione d’emergenza ha dichiarato che sono stati i «ribelli» delle Rsf a dare inizio alle violenze.

Un’immagine satellitare che mostra del fumo salire dall’aeroporto internazionale di Khartoum, Sudan, 16 Aprile 2023. (Epa/Maxar technologies handout, satellite image 2023)

Gli avversari – «Hemetti è filorusso, molto amico di Lavrov (Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ndr). Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina andò in visita a Mosca. Di recente Lavrov ha ricambiato l’omaggio». Così padre Giulio Albanese, sacerdote comboniano ed esperto di Africa, ha riassunto al Quotidiano Nazionale il legame tra il capo dei paramilitari e il Cremlino. Attraverso la Wagner, ha spiegato Albanese, la Russia è penetrata in Sudan e ha portato i rapporti con il Paese africano, a cui in passato si limitava a fornire armi, a un livello superiore. In questo modo i russi sono entrati in conflitto con gli interessi della Cina, presente in modo massiccio in Sudan dagli anni Novanta e primo acquirente del petrolio sudanese. Negli scontri in corso la Cina sta dalla parte dell’esercito regolare. In Sudan, dunque, non si replica l’asse Putin-Xi Jinping. Le divergenze tra Daglo e Abdel Fattah-Burhan risalgono al 2021: «Il disaccordo tra i due è nato dal colpo di stato dell’ottobre 2021. Al-Burhan voleva mantenere il potere senza consegnarlo ai civili, mentre Hemmetti non era d’accordo con il golpe» ha detto ad Avvenire l’analista sudanese Kholood Khair.

Tre giorni di scontri – I disordini sono iniziati il 15 aprile 2023, quando i paramilitari hanno cercato di prendere il controllo di alcuni luoghi strategici a Khartum: il palazzo presidenziale, l’aeroporto internazionale, la sede della televisione di Stato. Il 16 aprile Hemetti ha dichiarato a Sky News Arabia di controllare il 90% delle aree militari, ma l’esercito regolare ha negato che sia così. I paramilitari sostengono poi di aver abbattuto un aereo dell’esercito, però anche questa notizia è stata smentita dagli uomini di Abdel-Fattah Burhan. Al secondo giorno di combattimenti i due schieramenti avevano concordato una tregua di tre ore per consentire l’apertura di corridoi umanitari, ma l’accordo è stato rispettato solo in parte. Gli scontri si sono intentisificati di nuovo nella mattina di lunedì, come rilevato dal capo della missione Onu in Sudan Volker Perthes.

Reazioni e prospettive – Appelli al cessate il fuoco sono arrivati da più parti. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, in Giappone per il G7, ha auspicato «un ritorno ai colloqui, colloqui che sono stati molto promettenti nel mettere il Sudan sulla strada verso una piena transizione, verso un governo a guida civile». La Lega Araba, al termine della riunione d’emergenza voluta da Egitto e Arabia Saudita, ha chiesto «l’immediata cessazione di tutti gli scontri armati in Sudan per evitare ulteriori spargimenti di sangue». Anche il governo italiano segue con attenzione la vicenda: il Sudan si trova nel Sahel, aerea chiave per il dossier immigrazione, e il timore è che scivoli in una nuova lunga guerra civile.