Sale a 9 il bilancio dei morti a Khartoum,  dove va avanti da due mesi una protesta pacifica davanti al quartier generale dell’esercito. I dimostranti sono stati sgomberati a forza dall’accampamento con gas fumogeni e colpi di arma da fuoco perché considerati «minaccia alla sicurezza nazionale».

Le violenze – Stavano chiedendo ancora una volta una transizione rapida dei poteri dalla giunta militare al governo a un’autorità civile. Dopo la deposizione del presidente Omar al Bashir lo scorso 11 aprile (dopo quattro mesi di proteste innescate dall’aumento del costo del pane), numerosi attivisti hanno manifestato nelle piazze e nelle strade della capitale per ottenere libere elezioni, inizialmente promesse dai golpisti. Gli avvenimenti di oggi sembrano smentire quelle dichiarazioni: incendi alle tende dei manifestanti, posti di blocco e aggressioni sono stati portati avanti dalle Forze Rapide di Supporto, poi comunicati dal Comitato centrale dei medici sudanesi, legato alla protesta, e da un video di Al Jazeera, che continua a trasmettere dal Paese nonostante l’obbligo di chiusura. Il Comitato ha anche riportato che alcuni membri delle forze di sicurezza si sono introdotti armati all’interno dell’ospedale del Nilo dell’Est, dove erano stati trasportati alcuni dei feriti anche gravi.

Una lunga protesta – La protesta, che raccoglie diversi gruppi sotto il nome di Forze per la libertà e il cambiamento, ha bloccato con pietre e copertoni anche le strade principali di Omdurman, periferia della capitale sull’altra sponda del Nilo. L’Associazione dei professionisti sudanesi ha lanciato un appello ai concittadini per continuare la disobbedienza civile e “proteggere la rivoluzione” iniziata mesi fa. Cosa che appare più problematica del previsto: la giunta militare sudanese o Transitional Miltary Council (Tmc) ha dichiarato di voler tenere tutti i poteri durante il periodo di stallo previsto per i prossimi tre anni, ed è appoggiata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Dopo la visita nei Paesi alleati del capo della giunta Abdel Fattah al-Burhan e del suo vice Mohamed Hamdan Dangalo, i toni dei militari si sono fatti più diretti e violenti. «La maschera sta finalmente cadendo – ha detto l’attivista per i diritti umani Azaz Elshami – le forze militari non sono quello che dicevano di essere. Non vogliono il cambiamento e non vogliono lasciare il potere, ora lo sanno tutti». La paura di una guerra civile rimane e molti decidono di lasciare il Paese, come i migranti recuperati dalla Guardia costiera libica ieri 2 giugno dal barcone naufragato al largo di Khoms. Bruxelles si è detta preoccupata per gli attacchi contro i manifestanti civili, aspettandosi che «il governo militare di transizione agisca in modo responsabile rispettando il diritto del popolo di esprimere le sue preoccupazioni in modo pacifico» come previsto dall’Unione africana.