«il regime è finito, è caduto, abbiamo vinto», si sente cantare in queste ore per le strade di Khartoum, la capitale del Sudan. Omar Al-Bashir, al potere da 30 anni, si sarebbe dimesso l’ 11 aprile 2019. Si parla di colpo di Stato, ma per ora mancano conferme. Secondo l’emittente Al-Arabiya l’esercito sudanese avrebbe occupato punti strategici della capitale, ponti e strade principali, entrando anche nella sede della radio nazionale e nel quartier generale del movimento Islamico, il partito guidato da Al-Bashir. Secondo gli ultimi aggiornamenti, tutti i prigionieri politici sarebbero stati liberati dall’esercito.

Manifestanti a Khartoum chiedono le dimissioni del presidente Omar Al-Bashir davanti alla sede del governo (Foto ANSA)

Le strade della capitale – A Khartoum migliaia di persone hanno circondato il quartier generale del governo per festeggiare la fine di un capitolo sanguinoso della storia del Paese, aspettando conferme ufficiali sulle dimissioni del presidente. «Non ce ne andremo da qui finché non sapremo di cosa si tratta. Ma sappiamo che Al-Bashir deve andarsene», ha detto un manifestante all’agenzia France Presse. In piazza ci sono soldati e civili, e sembra che sia stato rispettato l’ordine dato dall’esercito alla polizia di non sparare sulla folla. Il 9 aprile gli Stati Uniti, la Norvegia e il Regno Unito, in un comunicato congiunto, avevano chiesto alle autorità sudanesi di attuare una transizione politica. L’Unione europea ha lanciato un appello a tutta la popolazione, al governo e ai militari di astenersi dalle violenze.

L’origine delle proteste – La popolazione del Sudan chiedeva la fine del regime da mesi, ma le manifestazioni si sono intensificate negli ultimi giorni. Partite nel dicembre 2018 dalle province Berber, Atbara, Ed-Damer e Al Gadrif, le proteste chiedevano una maggiore disponibilità di generi di prima necessità (a cominciare dal pane) e, più in generale, una migliore qualità della vita. In pochi mesi le manifestazioni si sono trasformate in un’ esplicita richiesta di dimissioni del presidente. Il governo avrebbe tentato di disperdere le proteste e 50 persone sarebbero morte nel corso delle numerose manifestazioni. Ma il pugno di ferro di Al Bashir non ha fermato i sudanesi.

Al Bashir con il presidente russo Vladimir Putin nel corso di un incontro al Cremlino nel luglio 2018 (Foto Wikipedia)

Chi è Omar Al-Bashir – Uno dei più longevi capi di Stato del continente africano, Al-Bashir è un ex-militare che ha preso il potere con un colpo di Stato nel 1989 nel mezzo di una sanguinosa guerra civile. Con l’accordo di Naivasha, concluso tra il governo sudanese e il Movimento di liberazione del Sudan nel 2005, il conflitto finisce lasciando sula campo quasi due milioni di morti e quattro milioni di rifugiati. Nel trattato di pace si stabiliva un referendum di secessione per il Sud Sudan, regione da cui era partita la ribellione nel 1987. Il Sud Sudan dichiarerà la sua indipendenza il 9 luglio 2011 con un plebiscito di voti favorevoli alla separazione (per poi precipitare a sua volta in una guerra civile). Di religione musulmana, Al-Bashir aveva dato asilo al capo di Al Qaeda Osama bin Laden nel 1990. A tutti gli effetti un «signore della guerra», il presidente  voleva a tutti i costi tenere unito quello che era il paese più esteso del continente africano, senza avere però un pieno successo. Su di lui pende un mandato di arresto internazionale richiesto nel 2009 dalla Corte Penale de L’Aia che ne ha richiesto l’arresto per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio nei riguardi della popolazione del Darfur, contro cui il governo del Sudan lancio operazioni di pulizia etnica tra il 2003 e il 2009.