Fuga dei primi ostaggi del sequestro al Lindt café a Sydney. Credit: Ansa

Fuga dei primi ostaggi del sequestro al Lindt café a Sydney. Credit: Ansa

Bandiere a mezz’asta in tutto il Paese. L’Australia si è svegliata martedì mattina con la notizia della fine violenta dell’assedio di Sydney. E con il suo terribile bilancio: Man Haron Monis, l’attentatore, e due dei 17 ostaggi sono morti, quattro sono i feriti. Giornata di lutto e di paura per altri possibili assalti nel Paese, che non subiva attacchi terroristici da 35 anni. Mentre cominciano le indagini della polizia sull’episodio e sulle eventuali responsabilità, gli australiani si riprendono dallo shock e rispondono al fanatismo con gesti di solidarietà verso le famiglie delle vittime e la comunità musulmana.

Tutto ha inizio il 15 dicembre. In un normalissimo lunedì mattina in una cioccolateria Lindt in Martin Place, pieno centro di Sydney, entra Man Haron Monis, 50 anni, armato di un fucile a pompa. Fa prigioniere 17 persone, quando l’orologio segna le 9:45 locali. È l’inizio di un sequestro che dura 16 ore. L’intero centro di Sydney viene posto sotto isolamento. Sulle vetrine del caffè appare una bandiera nera che con scritta in bianco la shahada, la professione di fede islamica: “Allah è l’unico dio e Maometto è il suo profeta”, resa celebre dal gruppo di al-Qaeda. Nel pomeriggio cinque ostaggi riescono a fuggire dalla porta di emergenza. Il rapitore chiede una bandiera dell’Isis e di parlare con Tony Abbott, primo ministro australiano.

Verso le 2.10 di martedì si ode del trambusto provenire dall’interno del locale. Rumori di spari. E comincia un fuggi fuggi generale dal locale. A questo punto la polizia fa fuoco. Il terrorista viene ucciso. Gli ultimi ostaggi sono liberati, ma il bilancio è pesante: due morti e quattro feriti. Le due vittime sono Tori Johnson, 34, il manager del caffè e Katrina Dawson, 38, avvocato. I detective della squadra omicidi del New South Wales stanno investigando sull’episodio per chiarire le responsabilità della morte dei due ostaggi.

Il responsabile è Man Haron Monis, 50 anni, nato in Iran e rifugiato politico in Australia dal 1996. Autoproclamatosi “sceicco” e guaritore spirituale, era già stato condannato nel 2009 per aver spedito lettere ingiuriose alle famiglie dei soldati australiani morti in Afghanistan. Tony Abbott, primo ministro australiano, descrive il terrorista come “un individuo profondamente disturbato con una lunga storia di crimini, una lunga storia di instabilità mentale e infatuazione con l’estremismo”. Il primo ministro chiede, e il mondo con lui, come sia possibile che un uomo indagato per violenza sessuale nei confronti di oltre 45 donne e complicità nell’omicidio della sua ex-moglie Noleen Hayson Pal, ben noto alle forze dell’ordine come estremista e simpatizzante del terrorismo globale fosse libero su cauzione e armato.

I leader musulmani in Australia hanno condannato l’attentato come un atto criminale che non trova spazio nell’Islam. Tuttavia, gli esperti di terrorismo vedono il rischio che l’episodio sia strumentalizzato per rendere più restrittive le già severe politiche di immigrazione nel Paese. La comunità musulmana teme ripercussioni e ritorsioni. Invece la società australiana risponde al fanatismo con la solidarietà. L’hashtag #illridewithyou, ispirato da Rachael Jacobs e ideato da Tessa Kum, che offre di accompagnare i musulmani che non si sentono sicuri a uscire di casa è diventato virale in pochissimo tempo, raggiungendo 198 tweet al minuto.

Alessia Albertin