Valeria Talbot, ISPI (IE Med)

«La Turchia va verso le elezioni, a seguito dell’attentato di Istanbul ci saranno un rafforzamento della sicurezza interna ed una stretta sui curdi e sul Pkk». Sono queste le parole di Valeria Talbot, Senior Researcher di ISPI ed esperta in Medio-Oriente e Nord-Africa, intervistata da La Sestina a ridosso dell’attacco terroristico del 14 novembre a Istiklal Caddesi, a Istanbul, dove una bomba ha causato la morte di 6 persone, ferendone più di 80.
In che quadro politico si inserisce l’attentato di Istanbul?
Il quadro politico attuale della Turchia è quello di un Paese che va verso le elezioni presidenziali e legislative. Attualmente sono diversi i nodi da sciogliere a livello politico-economico e di relazioni internazionali, è una fase delicata per il governo di Erdogan perché sono in gioco la sua rielezione e il successo elettorale del suo partito.

Quali saranno le reazioni immediate di Erdogan?
Ci si aspetta un rafforzamento della sicurezza unito a una stretta sul piano interno, soprattutto nei confronti della questione curda, alla luce delle responsabilità dell’attacco attribuite dal governo turco al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Se tra il 2015 e il 2017 la Turchia è stata obiettivo di numerosi attacchi terroristici dell’Isis, non sono mancati attentati di matrice curda. L’attenzione in questo momento è puntata sul Pkk e sui suoi legami con i curdi siriani delle Unità di protezione popolare (Ypg), che Ankara considera affiliate al Pkk. Il fronte siriano è ancora aperto e permane l’obiettivo turco di creare una safe zone della profondità di 30 chilometri nel nord della Siria: ricordiamo che proprio qui, per evitare la formazione di una fascia territoriale sotto il controllo delle Ypg la Turchia ha lanciato a partire dal 2016 quattro diverse operazioni militari (l’ultima nel 2019, denominata “Sorgente di Pace”)

Esistono delle analogie col clima politico attuale e quello del periodo degli attentati dell’ottobre 2015?
Al di là del fatto che anche nel 2015 la Turchia si trovava in una fase elettorale, con i dovuti distinguo rispetto a oggi, non sembrano emergere analogie. L’ondata di attacchi terroristici del 2015 era avvenuta in conseguenza di due fattori importanti: la fine del cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal Pkk due anni e mezzo prima e la ripresa dello scontro con lo stato turco, e poi l’ingresso della Turchia nella coalizione internazionale a guida statunitense contro lo Stato islamico in Siria e Iraq.
Il successo di Erdogan nelle elezioni di novembre 2015 avveniva in un contesto di grande destabilizzazione sul piano interno e a livello regionale.
La Turchia si avvicina alle elezioni di giugno 2023 e il consenso nei confronti del presidente e del suo partito si è ridimensionato rispetto alla precedente tornata del 2018, sebbene di recente il gradimento per Erdogan sia tornato a salire nei sondaggi. Le difficoltà economiche sono l’elemento che oggi pesa maggiormente sulla performance del leader turco e del partito di governo.

È trapelata la possibilità che i responsabili dell’attentato possano essere gli eredi del Fronte armato jihadista salafita Al-Nusra, in passato affiliato ad Al-Qaeda. Lei lo crede plausibile?
Sebbene siano stati svariati gli attacchi Turchi a piccoli gruppi Qaedisti nel nord-ovest della Siria, non vi sono al momento evidenze in questa direzione.