La chiamano tutti la “Terra dei sorrisi” ma al momento nessuno sembra molto felice in Thailandia. Per una chiamata telefonica troppo accomodante la premier Paetongtarn Shinawatra rischia grosso. Il 1° luglio si decide il suo destino, quando la Corte costituzionale sentenzierà se accogliere la petizione dei senatori che ne chiedono la rimozione per presunta mancanza di professionalità. Il riferimento è allo scambio telefonico con l’ex primo ministro cambogiano Hun Sen. Da giorni migliaia di persone protestano per le strade di Bangkok e sullo sfondo c’è la paura di un golpe militare.
La chiamata – La tensione tra Thailandia e Cambogia è un fatto storico che esiste (e resiste) da sempre. Sono separati da un lungo confine di 817 km che tocca sette province di Phnom Penh. Il 28 maggio nella zona contesa c’è stato un breve scontro a fuoco nel quale è morto un soldato cambogiano. È proprio per evitare un’escalation che Shinawatra ha chiamato Hun Sen, cercando una soluzione pacifica. Sen è stato in carica per più di trent’anni e dal 2023 ha lasciato il posto al figlio Hun Manet, ma è comunque il padre a essere considerato l’uomo forte del paese. Nonostante l’astio tra le due nazioni quella tra la famiglia Shinawatra e la famiglia Hun è un’amicizia decennale. Questo il motivo per cui il tono della telefonata è stato cordiale e amichevole fino a chiamare «zio» il vecchio leader. Una simpatia che il popolo di Bangkok non perdona al proprio primo ministro dopo che la chiamata è stata resa pubblica. Pare inoltre che Shinawatra avrebbe criticato un comandante del suo esercito.

Proteste a Bangkok (foto Ansa)
Conseguenze – Shinawatra si è scusata pubblicamente facendo appello all’unità nazionale. Ha anche chiuso il confine con la Cambogia per limitare le accuse di aperturismo. Phnom Penh ha risposto vietando la visione di film thailandesi e ha sospeso le importazioni di frutta e verdura da Bangkok. La premier ha poi visitato il 26 maggio la città di confine Aranyaprathet, un gesto da molti interpretato come una sfida. La mossa ha provocato una visita nella stessa area anche di Hun Sen. Il pugno duro di Shinawatra però non sembra essere servito a molto. Non solo ha ricevuto una mozione di sfiducia ma ha perso anche il sostegno di un partito importante per la coalizione al comando: il Bhumjaithai, che ha tolto l’appoggio dei suoi 69 deputati. Sullo sfondo ora c’è il timore di un golpe.
Il golpe – In Thailandia il colpo di stato è diventato un’abitudine. Dalla fine della monarchia assoluta nel 1932 ci sono stati ventidue golpe, dodici dei quali hanno avuto successo. Il primo ministro ha un ruolo complesso: deve sempre trattare da un lato con l’ingombrante monarchia, dall’altro con un potere militare molto forte. È un’arte, quella politica, che gli Shinawatra conoscono bene ma che spesso hanno fatto fatica a maneggiare. Sono di fatto una dinastia eletta dal popolo e i precedenti storici non fanno ben sperare l’attuale leader. Sia il padre, Thaksin, che la zia, Yingluck, sono stati rimossi dall’esercito. Nonostante le paure però il generale Phana Khlaeoplotthuk ha confermato la fedeltà delle forze armate al governo in carica e ai principi democratici.