Emily Lipple – Getty Images/Afp

Un lupo forse non tanto solitario. Malik Faisal Akram, il 44 enne cittadino britannico di origini pakistane che il 16 gennaio ha seminato il terrore in una sinagoga di Colleyville, in Texas, dove ha preso in ostaggio quattro fedeli minacciando di essere armato di una bomba, forse non avrebbe agito da solo. La polizia della Greater Manchester ha comunicato di avere arrestato due persone nel sud della città britannica, per interrogarli in relazione alla vicenda americana. Le forze dell’ordine del Regno non hanno diramato i nomi dei sospetti, né chiarito le ragioni del fermo. Quello che si sa è che sono giovani. Adolescenti, secondo quanto riportano i principali media d’oltremanica. Potrebbero avere avuto un ruolo chiave nella progettazione dell’assalto, aiutando Akram, ucciso dopo un blitz delle teste di cuoio texane al termine di una contrattazione durata undici ore. In un primo momento si riteneva che l’assalitore avesse agito da solo: «Escludiamo il coinvolgimento di altre persone» aveva chiosato l’Fbi a conclusione di quella che il presidente Joe Biden aveva definito «una giornata di terrore». Un uomo solo, accecato dalla rabbia, probabilmente con problemi mentali: questo era stato il profilo di Akram tracciato dagli agenti federali, quando l’incubo del terrorismo islamico non aveva ancora svegliato l’America dal letargo di due anni di pandemia. Ma forse le cose non stanno proprio così. «Le operazioni dell’antiterrorismo continuano ad assistere le indagini condotte dalle autorità statunitensi», hanno dichiarato in una nota le forze dell’ordine britanniche, «la polizia regionale sta collaborando con le comunità locali per mettere in atto qualsiasi misura per fornire ulteriori rassicurazioni».

Ore di panico – Sabato 15 gennaio, tre del pomeriggio. Il rabbino Charlie Cytron-Walker sta celebrando la funzione dello Shabbat nella sinagoga di Beth Israel a Colleyville, piccolo sobborgo di Dallas a una quarantina di chilometri dal principale aeroporto del Texas. Molti fedeli sono collegati da casa, grazie alla diretta Facebook. A un certo punto si sentono delle grida, all’inizio incomprensibili, poi sempre più chiare: frasi antisemite, sconnesse. Poi, all’improvviso, il terrore: «Ho una bomba, nessuno si muova o moriranno tutti!». Il live streaming viene interrotto. Cominciano ore di angoscia. Rimangono in ostaggio quattro persone: tre fedeli e il rabbino. È lo stesso sequestratore ad allertare le forze dell’ordine, con le quali inizia una trattativa che durerà per circa undici ore. «Cosa avete di sbagliato qui in America?», urla alla polizia, mentre oltre duecento agenti iniziano a circondare l’edificio. «Voglio la liberazione di mia sorella Aafia Siddqui, o ucciderò tutti!», pretende a un certo punto. È allora che si mobilita l’Fbi: Aafia Siddqui è infatti meglio nota come “Lady Al Qaeda”: neuroscienziata pachistana, diplomata al prestigioso Mit, condannata a 86 anni di carcere per terrorismo: fu la prima donna a “prestare servizio” per la jihad di Osama bin Laden. Quando fu arrestata aveva con sé – tra gli altri – documenti su come produrre armi batteriologiche utilizzando il virus Ebola. Forte è sempre stata la mobilitazione degli ambienti più estremisti dell’Islam per liberarla: l’Isis chiese la sua libertà in cambio della vita di James Foley, giornalista americano catturato in Siria e poi decapitato. Le autorità dunque identificano l’assalitore come Mohammed Siddqui, fratello di Aafia: ma ben presto si scopre che Mohammed è uno stimato architetto, del tutto estraneo alla vicenda, piuttosto seccato per la situazione. Un legale di Muhammad e la famiglia di Aafia hanno smentito: «Vogliamo che lui sappia che le sue azioni sono malvagie e mettono a rischio coloro che cercano giustizia per Aaifa», hanno scritto i parenti della donna. Dopo che uno dei quattro ostaggi era stato liberato nel pomeriggio, alle due di notte locali un blitz delle forze speciali uccide infine l’assalitore liberando la sinagoga.

La neuroscienziata e terrorista pakistana Aafia Siddiqqi (Ansa / Matthew Cavanaugh/ Pal)

Armi facili – Non è la prima volta che negli Stati Uniti si verificano attentati (riusciti o meno) in luoghi pubblici, a volte anche in edifici di culto: il caso più eclatante è stato forse la strage di Charleston, in South Carolina, quando il 21enne suprematista bianco Dylann Roof irruppe in una chiesa metodista uccidendo a colpi d’arma da fuoco il reverendo Clementa Pickney (membro eminente della Naacp, la più famosa associazione per i diritti civili Usa) e altri nove fedeli afroamericani. Di recente, il 13 dicembre 2021, proprio in Texas uno squilibrato ha aperto il fuoco durante una veglia funebre a Baytown, vicino a Houston, uccidendo una persona e ferendone 14: un’altra tragedia in uno Stato da tempo sotto i riflettori, oltre che per la sua legislazione anti-abortista, anche per la sua propensione a vendere armi (troppo) liberamente.