
Alcuni deputati democratici sul volo verso Washington (foto/Twitter)
2.400 chilometri percorsi in auto o in volo per fermare una legge ritenuta «liberticida». Un viaggio, o meglio una fuga, intrapreso da 51 dei 67 parlamentari democratici del Texas, che hanno lasciato il loro Stato per dirigersi a Washington DC. La loro assenza impedisce così al Congresso di Austin di procedere nella votazione delle nuove norme, proposte dai Repubblicani, per limitare il diritto di voto. Ma non è detto che questa mossa, vista da molti come un gesto codardo, riesca a impedire che la legge venga approvata.
La fuga – Nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 luglio, quasi tutti i deputati Dem del Texas hanno fatto le valigie. Alcuni sono saliti in macchina con famiglia al seguito, altri si sono imbarcati su uno dei due voli charter organizzati per l’occasione. Tutti si sono diretti verso la capitale federale con l’intento di far mancare il quorum al momento della votazione. La decisione di non presenziare al Congresso è stata maturata dai parlamentari «fuggitivi» dopo che, una settimana prima, il governatore repubblicano Greg Abbott aveva indetto una sessione speciale per approvare la legge sulle limitazioni al diritto di voto, smaltendo nell’arco del fine settimana tutti i lavori preliminari in commissione. Tempi record voluti dal governatore per poter approvare la legge il prima possibile.

Il governatore del Texas Greg Abbott (foto/Wikipedia)
Le reazioni – «È il comportamento più anti-texano mai visto, se ne vanno per non combattere. Si sono arresi – è la reazione furiosa del governatore Abbott, tra i più vicini a Trump – Una volta rientrati nel nostro Stato saranno arrestati e portati in Campidoglio per fare il loro dovere». Volontà tradotta subito in una mozione approvata dai colleghi rimasti in aula. Le regole del Congresso texano infatti prevedono che i deputati assenti senza giustificazione possano essere arrestati e portati in aula per garantire il numero minimo di votanti. Per ora, però, le forze dell’ordine hanno le mani legate visto che i parlamentari democratici si trovano in un altro stato. E hanno minacciato di rimanerci fino al 7 agosto, giorno in cui scadrà il mese riservato di norma a una sessione legislativa speciale. Greg Abbott non ha comunque nessuna intenzione di assecondare la protesta dei Dem né di rinunciare alla legge: «Sono pronto a proclamare sessioni speciali delle Camere una dopo l’altra anche fino alle elezioni di fine 2022, se necessario: se i democratici vogliono continuare a bloccare i lavori, devono essere pronti a restare fuori dallo Stato per più di un anno».
I precedenti – Non è in realtà la prima volta che l’ala democratica texana mette in scena il proprio personale Aventino. Nel 2003 varcarono il confine del vicino Oklahoma per stroncare il piano di riorganizzazione dei distretti elettorali sostenuto dai Repubblicani. Anche allora ritenevano la nuova legge una chiara volontà di influenzare gli esiti del voto a loro favore. Per evitare scene simili la Camera del Texas ha approvato a gennaio una norma che consente di chiudere a chiave la porta dell’aula in cui avvengono le votazioni per evitare che i deputati escano durante la seduta. La misura, però, non sembra bastare. Solo due mesi fa i Dem avevano bloccato una prima volta la legge sul diritto di voto, abbandonando il Congresso per riunirsi in una chiesa vicina.
Le nuove norme – Nel concreto i deputati che hanno lasciato il Texas vorrebbero impedire ad Abbot e ai suoi compagni di partito di introdurre tramite questa legge il divieto di organizzare seggi drive-through, ovvero la possibilità di votare direttamente dalla propria auto, il divieto di tenere aperti i seggi 24 ore su 24, il divieto di distribuire formulari per l’iscrizione al voto per corrispondenza e il divieto di distribuire acqua a chi è in fila, anche da ore, per accedere ai seggi. Inoltre al Segretario di Stato del Texas è affidato il compito di incrociare mensilmente le liste delle persone registrate per il voto e i dati del Dipartimento della sicurezza pubblica per individuare eventuali elettori non statunitensi. Per votare, quindi, potrebbe essere richiesti più documenti di identificazione. Nuova burocrazia che di solito scoraggia soprattutto gli elettori afroamericani. «Siamo di fronte a una soppressione del diritto di voto, è inutile girarci attorno – accusa Mary González di El Paso, tra i deputati volati nella capitale – Un salto indietro di 70 anni».
Un voto limitato – Il salto è ancora più preoccupante se avviene in uno Stato «viola», ovvero né rosso (repubblicano), né blu (democratico), ma sempre più in bilico a ogni tornata elettorale. E se lo stato in questione è tra i più arretrati sul tema del diritto di voto. Secondo il giornalista Ari Berman, che da anni osserva e racconta le vicende elettorali negli Stati Uniti: «Il Texas è lo Stato in cui è più difficile votare». A oggi il voto per corrispondenza è limitato alle persone con più di 65 anni, agli elettori che sono fuori città durante il voto, in prigione o hanno una malattia o condizione fisica che impedisce loro di andare alle urne. Nessuna deroga nemmeno durante la pandemia. Il reporter fa inoltre notare nel suo articolo sul sito “MotherJones” come negli ultimi anni siano stati chiusi nello Stato del sud «750 seggi elettorali: più di qualsiasi altro Stato e in modo sproporzionato nelle comunità nere e latine». Nonostante, infine, le ultime presidenziali abbiano registrato la più alta affluenza da quasi 30 anni, il Texas è ancora al 44esimo posto tra gli stati Usa per partecipazione al voto.

La conferenza stampa dei deputati democratici texani fuori da Capitol Hill (foto/Ansa)
L’appello da Washington – Il problema delle limitazioni al diritto di voto non riguarda solo il Texas. Per questo i parlamentari «fuggitivi» hanno scelto Washington DC come meta del loro allontanamento, per parlare alla Nazione intera. Nel pomeriggio di martedì 13 luglio, davanti a Capitol Hill, hanno tenuto una conferenza stampa lanciando il loro appello alle più alte cariche istituzionali e in serata sono stati ascoltati dalla vice presidente Kamala Harris. Il dibattito sul tema è lievitato negli ultimi mesi, dopo che gli stati a maggioranza repubblicana hanno condiviso con forza le accuse di brogli formulate da Donald Trump. Con questa convinzione i governatori più fedeli all’ex presidente hanno iniziato ad approvare leggi che in teoria dovrebbero rendere più complicata qualsiasi intromissione nel voto. Così facendo, però, limitano o negano del tutto l’accesso al voto per le fasce più povere della popolazione, tra cui gli afroamericani, le cui preferenze vanno in larga parte al Partito Democratico. Quest’ultimo non ha però grandi mezzi per opporsi alle decisioni degli avversari politici, se non tentare di rallentare la loro approvazione presentando emendamenti.
Il discorso di BIden – Sul tema si è espresso anche il presidente Joe Biden. Martedì 13 luglio, nel suo discorso a Philadelphia ha condannato le leggi approvate o prossime all’approvazione e ha ribadito come l’accesso al voto sia «la più importante prova della nostra democrazia dai tempi della Guerra civile». A questo proposito i Democratici hanno presentato due disegni di legge a livello federale che si impongano su quelle statali e garantiscano il diritto di voto: il “For the People Act” e il “John Lewis Voting Rights Advancement Act”, dedicato al famoso attivista per i diritti civili scomparso l’anno scorso. Biden ha esortato ad approvarli pur consapevole che i lavori sono bloccati in ogni modo dall’ala repubblicana. «Non vi vergognate?» ha chiesto loro il presidente senza giri di parole. Una svolta sul diritto di voto è necessaria al più presto e i deputati Dem chiedono a gran voce che la loro «fuga» non sia vana. «Abbiamo bisogno che il Congresso agisca ora, prima della pausa di agosto – sono state le prime parole di Chris Turner, presidente del caucus democratico, al momento di scendere la scaletta all’aeroporto di Washington-Dulles – Il tempo stringe».