Fabio Polenghi fu colpito da un proiettile di un soldato

Fu ucciso da un proiettile dei militari thailandesi, ma non c’è ancora nessun responsabile. E’ il verdetto di un tribunale di Bangkok che mercoledì mattina ha confermato i sospetti della famiglia di Fabio Polenghi, il fotoreporter italiano ucciso il 19 maggio 2010 durante il blitz dell’esercito reale contro le “camicie rosse”.

“E’ un verdetto positivo, ma non risolutivo”, ha detto all’Ansa la sorella Elisabetta, che in questi tre anni si è battuta per ottenere giustizia, e che ha ascoltato la lettura del verdetto con la madre Laura Chiorri e la sorella maggiore Arianna. “Non é una sentenza che mi mette il cuore in pace, semplicemente posticipa il problema. Non provoca nessun danno all’esercito”.

Secondo la dinamica ricostruita dal tribunale thailandese, Polenghi, 48 anni, fu colpito alla schiena da un proiettile ad alta velocità di un fucile M16 (quello in dotazione ai militari), mentre correva verso la Ratchaprasong Intersection, seguendo la ritirata dei “rossi” nell’ultimo giorno della protesta antigovernativa. Da due mesi si combatteva nel centro di Bangkok: il bilancio finale parla di 91 morti e 2mila feriti. Tra i giornalisti uccisi, c’è proprio l’italiano. Ma avere una giustizia completa non sarà semplice.

Da un lato è un primo passo legale importante nell’eventuale individuazione di un colpevole preciso. In Thailandia, però, nessun militare è mai stato condannato. E sarà la famiglia a dover chiedere un altro processo. La sorella Elisabetta, che in tre anni è venuta in Thailandia nove volte, deciderà in giornata come proseguira la sua battaglia.

La madre di Polenghi, volata a Bangkok per la prima volta, ha detto di voler “sapere chi ha ucciso Fabio, e soprattutto chi ha ordinato di sparare. Almeno per avere qualcuno con cui sfogarmi”. Il governo thailandese è guidato dal luglio 2011 da Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex premier in autoesilio Thaksin, tuttora figura di riferimento delle classi medio-basse rurali che avevano formato il movimento extraparlamentare delle “camicie rosse”.

Francesco Giambertone