Nuovo cambio di linea, l’ennesimo, da parte di Donald Trump che già nei primi 100 giorni di presidenza ha abituato il mondo ai suoi voltafaccia. Questa volta il presidente Usa ha ammorbidito i toni con due tra i più discussi leader mondiali, il nordcoreano Kim Jong-Un e il filippino Rodrigo Duterte. Il secondo, che appena eletto diede del “figlio di p…” a Obama che lo criticava, è stato invitato alla Casa Bianca per discutere proprio dell’emergenza Corea del Nord. Ma la vera svolta di Trump è arrivata lunedì primo maggio in un’intervista al programma “Face the nation” su Cbs News, nel corso della quale ha abbandonato i toni più duri con la Corea del Nord, diventata in questi primi 100 giorni la questione di sicurezza nazionale e di politica estera più urgente per l’amministrazione americana: «È un ragazzo sveglio. Se ci fossero le condizioni giuste per incontrare Kim Jong-Un, lo farei di sicuro. Anzi, ne sarei onorato». Per poi aggiungere: «La maggior parte dei politici non lo direbbe mai, ma io lo dico, nelle giuste condizioni lo incontrerei».

 

«Non ci sono le condizioni» – Poco dopo la messa in onda dell’intervista la Casa Bianca ha subito chiarito che al momento tali condizioni non ci sono e ha specificato: «I nordcoreani devono smetterla di provocare». E sul fronte filippino non è andata meglio a Trump. Duterte ha declinato l’invito del presidente Usa con nemmeno troppa eleganza: «Non ho tempo di vedere Trump adesso. Sono pieno di impegni e non posso mantenere ogni promessa. Dovrei andare in Russia, dovrei andare in Israele…». Le aperture di the Donald al momento sembrano quindi essere cadute nel vuoto. E la tensione con la Corea del Nord non solo non si placa, ma aumenta. Nella mattina di martedì il Paese ha accusato gli Usa di «procedere in modo sconsiderato verso una guerra nucleare» nella regione perché «hanno fatto volare i bombardieri strategici B-1B sui principali obiettivi della Corea del Nord».

Dialogo e realismo – In molti si stanno interrogando sulle ragioni di questa improvvisa apertura di Trump a quelli che gli Stati Uniti considerano dittatori. Potrebbe essere una mossa per cercare di allentare la tensione e di instaurare un dialogo con la Corea del Nord, così come altri presidenti Usa tentarono di fare prima di lui. E anche la sola idea di essere legittimati come interlocutori potrebbe spingere i nordcoreani ad accettare un dialogo per ottenere aiuti economici in cambio di un ripensamento del programma nucleare, secondo un copione che si è già verificato. Spiegabile, invece, secondo logiche di realismo politico e di convenienza geopolitica l’apertura al presidente delle Filippine Duterte: evitare che il Paese del Sud est asiatico stringa un sempre più solido rapporto di amicizia con quel potente e influente vicino che è la Cina. Per gli Stati Uniti è fondamentale che un Paese si affaccia sul Mar Cinese Meridionale, come le Filippine, rimangano nell’orbita americana.