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I Sioux hanno perso. L’oleodotto rimane e va avanti . L’Amministrazione Trump ha dato il via libera al completamento del Dakota Access, il progetto da 3,8 miliardi di dollari capace di trasportare petrolio dal Nord Dakota all’Illinois. La decisione arriva dopo mesi di proteste, organizzate dalla tribù di nativi americani con l’appoggio di associazioni ambientaliste e di cittadini, che hanno denunciato i rischi di inquinamento per le falde acquifere e i terreni. E le critiche non si fermano a questo. Riguardano anche i rapporti di Trump con la Energy Transger Partners, la società appaltatrice, di cui il Presidente è stato socio. E il cui amministratore delegato ha finanziato la campagna elettorale del tycoon.

La storia – Barak Obama aveva fermato i lavori a dicembre. Una firma di Trump li rimette in moto. Il Dakota Access – oleodotto da 1900 chilometri in grado di trasportare fino a 570 barili di greggio al giorno – attraverserà la riserva di Standing Rock, terra sacra per i Sioux. La decisione finale, arrivata mercoledì 8 febbraio attraverso le parole del vicesegretario Paul Cramer, non è del tutto nuova. Le intenzioni del presidente repubblicano erano chiare sin dal suo insediamento. Quattro giorni dopo l’arrivo alla Casa Bianca, Trump firmava gli ordini esecutivi che consentivano la realizzazione di due progetti petroliferi. Oltre al Dakota Access, dava il via libera anche al Keystone XL, proprietà dell’azienda TransCanada e in grado di trasportare il petrolio estratto dall’Alberta (Canada) fino al Messico attraverso sei stati americani.

Si muove l’esercito. La decisione dell’ex amministrazione è stata scavalcata grazie a uno studio del Genio dell’esercito statunitense. Realizzato dal vicesegretario all’esercito Paul Cramer, la ricerca ha rimosso gli ostacoli burocratici del progetto, sostenendo che l’impatto della costruzione sull’ambiente sarà minimo. Le possibili conseguenze, ritenute invece ingenti dall’opposizione, erano state proprio al centro della scelta di Obama di non concedere i permessi necessari a terminare la costruzione. Nella giornata di martedì 7 febbraio, il presidente del consiglio tribale Dave Archambault II si era recato a Washington in un tentativo di incontrare le autorità prima che venisse adottato qualsiasi provvedimento. Era l’ultima possibilità, fallita. Affermando che le sue motivazioni non sarebbero state ascoltate, Archambault ha annullato l’incontro previsto alla Casa Bianca.

Le reazioni. I Sioux annunciano una battaglia legale. «Come popoli nativi siamo di nuovo colpiti, ma ci rialzeremo, supereremo l’avidità e la corruzione che hanno afflitto i nostri popoli sin dal primo contatto. Invitiamo le nazioni native degli Stati Uniti a stare insieme, unirci e combattere. Sotto questa amministrazione, tutti i nostri diritti, tutto ciò che ci rende quello che siamo è a rischio. Rispettate la nostra gente e non venite a Standing Rock. Esercitate, invece, i diritti previsti dal Primo Emendamento e protestate con le vostre autorità statali, i vostri rappresentanti al Congresso, e Washington Dc», ha dichiarato in un comunicato stampa Archambault II. I membri della Standing Rock Sioux Tribe protestano da aprile 2016. Lo hanno fatto rivendicando i propri diritti sulle terre, e sostenendo che la costruzione dell’oleodotto viola la sovranità dei nativi. Sovranità che era stata ratificata dal governo Usa tramite due trattati stipulati nel 1851 e 1868.

«Azione collettiva» – Dallas Gooldtooth, uno degli organizzatori della campagna Indigenous Environmental Network, richiama la necessità di un’azione collettiva in difesa dei diritti indigeni. «Stiamo combattendo contro un sistema e abbiamo bisogno di farlo insieme. Dobbiamo ribellarci tutti insieme», ha dichiarato.