Al giro di boa delle primarie statunitensi, ci sono diversi fil rouge utili a capire quanto accaduto finora ma soprattutto a prevedere quanto accadrà. In politica interna: la frustrazione dell’American Dream, l’emergere di outsider come Donald Trump e Bernie Sanders e il ruolo dei media nella raccolta dei consensi. In politica estera: la trasformazione della leadership americana nel teatro europeo e orientale, dalle exit strategy di Obama al nuovo interventismo repubblicano. Tutti temi sviscerati nel panel “The road to Nomination and the U.S. Presidential Elections”, organizzato dalla scuola di giornalismo Walter Tobagi. Due i relatori d’eccezione: Erik Jones, politologo della Johns Hopkins University, e Gabriel Goodliffe, professore di Relazioni Internazionali all’Istituto Tecnologico Autonomo del Mexico. Moderatore Chris Wurst, Console dell’ambasciata statunitense per la Stampa e la Cultura.

Il fenomeno che più stupisce gli analisti, e su cui si sono dilungati i relatori, è proprio l’uragano Donald Trump: il tycoon newyorkese, senza alcuna esperienza politica alle spalle, che attira e trattiene l’attenzione dei media internazionali. Guardiamo al rapporto tra il denaro che i candidati hanno investito nell’acquisto di spot elettorali e il ritorno “spontaneo” dei media. Per 10 milioni di dollari spesi, Trump ha ottenuto una copertura mediatica del valore di quasi 2 miliardi. Uno sbilanciamento che pochi mesi fa appariva impensabile. Con le dovute proporzioni è un po’ quello che ha rappresentato in Italia Silvio Berlusconi, dal 1994 in poi. Almeno nella percezione italiana, che spesso crea un parallelismo tra il miliardario americano e il leader di Forza Italia. Non è molto d’accordo Erik Jones, al quale abbiamo chiesto un’opinione. Ecco cosa ci ha risposto.

Il prossimo appuntamento rilevante nella corsa alla Casa Bianca è tra meno di un mese: il 19 aprile, quando Repubblicani e Democratici voteranno nello Stato di New York, casa dei due favoriti Hillary Clinton e Donald Trump. I delegati in palio nel partito repubblicano sono 95, tra i democratici 247. A quel punto la corsa in casa Dem potrebbe essere già decisa visto che nel frattempo si voterà in altri otto Stati e Sanders è chiamato a recuperare oltre 300 delegati all’ex first lady. Una vera e propria impresa considerato che i democratici non votano mai con il cosiddetto winner-take-all.

Diverso il discorso tra i Repubblicani, che di qui al 19 aprile voteranno solo in Arizona, Utah e Wisconsin: 140 i delegati in tutto, 82 dei quali assegnati con il metodo maggioritario. Sul partito dell’elefante continua ad aleggiare lo spettro della brokered convention, la convention aperta in cui dal secondo scrutinio scatta il “liberi tutti”. Difficile che Trump non riesca ad avere i numeri per presentarsi a Cleveland con la maggioranza dei delegati (a oggi ne ha circa 250 in più del senatore del Texas Ted Cruz) ma, con la vittoria di John Kasich in Ohio, il ritiro del senatore della Florida Marco Rubio e la tenace resistenza di Cruz, la corsa appare più irta di ostacoli del previsto.

Angelica D’Errico, Emiliano Mariotti

IL VIDEO INTEGRALE DELL’INCONTRO
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