«Devasteremo la Turchia economicamente se attaccherà i curdi». Con questo tweet, pubblicato poco dopo la mezzanotte italiana, Donald Trump ha dichiarato le proprie mosse, nell’ambito dello scontro tra curdi e Turchia, nel caso dovessero esserci problemi successivi al ritiro delle truppe americane in Siria. Nei suoi due messaggi social, il presidente degli Stati Uniti comunicava l’inizio del rientro di larga parte delle sue forze dislocate nello Stato asiatico, annunciato per la prima volta il 19 dicembre. Tra i possibili provvedimenti da adottare, anche la creazione di una zona cuscinetto di 20 miglia nel territorio di conflitto.

La risposta turca – Non si è fatta attendere in mattinata la replica turca, attraverso le parole di Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere del presidente Recep Tayyip Erdogan: «È un errore fatale identificare i curdi siriani con il Pkk, che è nella lista Usa delle organizzazioni terroristiche, e con la sua branca siriana Pyd/Ypg. La Turchia combatte i terroristi, non i curdi. Proteggeremo i curdi e gli altri siriani dalle minacce terroristiche». Una risposta che, oltre a difendere il rispettivo punto di vista, è passata al contrattacco nei confronti della posizione americana: «I terroristi non possono essere vostri partner e alleati. La Turchia si aspetta che gli Usa rispettino la nostra partnership strategica e non vuole che sia oscurata dalla propaganda terroristica».

Lo scontro tra la Turchia e i curdi – I curdi, una minoranza musulmana-sunnita presente in Turchia, Iraq e parte settentrionale della Siria (dove è stata sempre osteggiata dal governo di Assad), ha offerto un contributo vitale durante la guerra contro l’Isis attraverso il suo braccio armato, l’Ypg. Quest’ultimo è collegato con il Pkk, partito della minoranza curda in Turchia, protagonista di una lotta con l’autorità centrale del Paese durata oltre venti anni, dal 1987 al 2003, e densa di azioni terroristiche e violazione dei diritti umani da ambo le parti. Per questa ragione, i rapporti tra i curdi e la Turchia sono sempre stati tesi durante la guerra siriana, sebbene entrambe le fazioni abbiano avuto nell’Isis un nemico comune. Le truppe di Erdogan hanno appoggiato i siriani nella riconquista di alcune zone curde, tra cui la roccaforte di Afrin nello scorso marzo.

La posizione degli Usa – Trump considera ormai abbattuto l’Isis, lo Stato Islamico della Siria e dell’Iran, la cui sconfitta era considerata l’unica ragione di una «guerra senza fine», iniziata nel 2011. Eppure un precedente rapporto dell’Onu aveva denunciato la permanenza di un numero ancora attivo di miliziani tra le 20 e le 30mila unità. Un piccolo contingente americano resterà ancora nel territorio siriano nel caso in cui dovessero esserci nuovi attacchi del Califfato. Questa presa di posizione ha causato reazioni opposte, anche all’interno della Casa Bianca, portando addirittura alle dimissioni, lo scorso 21 dicembre, del segretario di Difesa Jim Mattis, in disaccordo con le politiche internazionali di Trump. Nell’ambito degli equilibri mediorientali, sono Israele e i curdi, entrambi alleati degli Usa nel conflitto che Trump considera ormai ultimato, a rischiare di trovarsi in una condizione di isolamento. Il presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, ha comunque già annunciato che continuerà l’opposizione armata alla creazione di un avamposto militare dell’Iran in Siria, un altro dei temi caldi della regione.