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Due giornalisti arrestati e cinquantotto reporter licenziati. Questo lo scenario interno della Turchia del dopo-voto, a due giorni dal trionfo dell’Akp di Erdogan con la conquista della maggioranza assoluta in Parlamento. Un tribunale di Istanbul ha ordinato stamane il fermo del direttore della rivista Nokta, Cevheri Guven, e del caporedattore centrale Murat Capan. L’accusa, per entrambi, è di “istigazione a delinquere”. Sotto processo la copertina di lunedì 2 novembre con cui la rivista anti-Erdogan sanciva nel Paese, all’indomani dalla vittoria islamica, l’inizio di una «guerra civile». Già a metà settembre la polizia aveva compiuto un blitz nella redazione di Istanbul di Nokta: la rivista era stata ritirata dalle edicole per un fotomontaggio in copertina che mostrava Erdogan alle prese con un selfie mentre sullo sfondo c’erano i funerali di un soldato morto nel conflitto interno con il Pkk curdo.

Non solo la stampa. Nel mirino del dodicesimo presidente turco anche giri di vite ai piani alti della politica. Altre trentacinque persone, fra alti burocrati e funzionari di polizia, sono state arrestate nella provincia occidentale di Smirne in un’operazione che ha preso di mira i sostenitori del religioso musulmano Fethullah Gulen, oppositore del presidente Erdogan. Con la stessa accusa – presunti legami con il magnate e imam ex alleato e ora nemico numero uno del leader dell’Akp – sono stati licenziati stamane cinquantotto giornalisti del gruppo editoriale Ipek. Questa la decisione degli amministratori nominati dal tribunale turco che la scorsa settimana ha commissariato i giornali e le tv del gruppo, già sotto la lente della magistratura turca per aver denunciato, in passato, la corruzione di alcuni ministri. Dopo una sospensione di alcuni giorni, stamane ai reporter non è stato possibile rientrare nella redazione di Istanbul che ospita i quotidiani Bugun e Millet e le emittenti Bugun tv e Kanalturk. Tra le vittime eccellenti della strategia mediatica di Erdogan ci sarebbero il caporedattore di Bugun, Bulent Ceyhan, e il reporter Kamil Maman, tra i fermati durante il raid della polizia della scorsa settimana nella redazione dei media.

Mentre Erdogan sta vincendo la sua battaglia sui mercati, con il rialzo, all’indomani delle votazioni, della lira turca e della borsa di Istanbul, la Casa Bianca ha espresso «profonda preoccupazione» per le intimidazioni ai media, «presumibilmente calcolate per indebolire l’opposizione politica». Stamane è intervenuta anche l’Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che denuncia: la campagna elettorale che ha portato il partito islamico a conquistare il 49% dei voti, «è stata colpita da violenze e restrizioni alla libertà dei media».

Intanto nelle scorse ore sono iniziati i primi bombardamenti del dopo voto contro le postazioni del Pkk curdo nel sud-est del Paese e nel nord dell’Iraq. Le forze armate riferiscono di aver colpito rifugi e depositi di armi nelle zone di Hakkari, Metina, Zap, Avasin-Basyan, Hakurk, Gara e Qandil. Sono i primi bombardamenti dopo il voto di domenica.

Elisabetta Invernizzi
@bettainvernizzi