Il presidente uscente della Repubblica di Turchia Recep Tayyip Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali con il 52% dei voti, imponendosi sul candidato della coalizione avversaria Kemal Kilicdaroglu, fermo al 47,9%. Si è chiusa così una delle più attese competizioni elettorali del 2023, che ha visto i due leader contendersi la carica più alta dello Stato al ballottaggio finale, a seguito di una primai votazione in cui nessuno dei due era riuscito a ottenere più del 50% dei voti.
Per Erdogan si è trattato del primo ballottaggio dopo anni di potere incontrastato. La sua vittoria al secondo turno era data per favorita da analisti e sondaggisti, mentre ciò non era accaduto per la prima tornata, quando a tre giorni del voto il «Sultano» risultava in svantaggio in alcune proiezioni di voto.

I numeri e le coalizioni – Il successo di Erdogan si è posto in immediata continuità con la vittoria della maggioranza parlamentare da parte della sua coalizione elettorale («Alleanza del popolo»), che unisce il partito di cui è leader (Akp, Partito della giustizia e dello sviluppo) a forze di estrema destra (Mhp, Partito del Movimento Nazionalista) e islamiste (Bbp, Yrp). Oltre che per il rinnovo della carica di Presidente della Repubblica Turca, domenica 14 maggio si è infatti votato anche per il ricambio dei 600 seggi del Parlamento, dove il solo partito del presidente ha preso 269 posti (27 in meno rispetto alla precedente legislatura).
Con la vittoria delle elezioni presidenziali e parlamentari di maggio, Erdogan si è confermato saldamente al comando del potere esecutivo e in controllo dell’assemblea legislativa. Ne è uscita invece sconfitta la coalizione di Kilicdaroglu («Alleanza della nazione»), che ha riunito attorno al partito di cui è leader, il Partito popolare repubblicano (Chp), la cosiddetta «Tavola dei Sei», ossia lo schieramento completo di tutti e sei i principali partiti di opposizione: il Partito polare (Chp), il Buon partito (?Y?), il Partito democratico (Dp), il Partito della felicità (Sp), il partito della democrazia e del progresso (Deva) e il partito del futuro (Gelegek).
Il loro sforzo di mettere da parte le differenze ed esprimere un candidato unico per contrastare Erdogan non è bastato per scalzare dal potere il presidente in carica, al potere da vent’anni: prima come primo Ministro (dal 2003) e poi come Presidente della Repubblica (dal 2014).

Vent’anni al potere – Erdogan ha iniziato la propria ascesa politica nel 2014, quando è diventato Primo ministro dopo che nel 1994 era già stato eletto, allora quarantenne, sindaco di Istanbul. Da allora è sempre rimasto alla guida del Paese, preferendo alle aperture europeiste della sua prima stagione politica (sotto i suoi primi anni da presidente si registrarono dei passi in avanti sul piano dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione europea) un’esercizio del potere sempre più autoritario.
Oggi, a distanza di vent’anni, il politico che ha rivinto le elezioni è a tutti gli effetti un leader non democratico. Lo dimostrano il tentativo di fondere aspetti pertinenti alla religione islamica nel suo agire politico, in aperta violazione della laicità prevista dalla Costituzione. Lo prova la violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), che tutela la libertà di stampa dalle repressioni messe in atto dal regime di Ankara contro i giornalisti liberi. E lo rendono evidente, sul campo internazionale, i bombardamenti sui curdi nel Nord della Siria, invasa nel 2019. Anche l’atteggiamento nei confronti dell’Unione europea si è basato sulle minacce che Erdogan sa di poter fare in tema di immigrazione: la Turchia è una delle porte dei migranti che arrivano poi in Europa.

Due mondi a confronto – Queste elezioni di maggio hanno offerto agli elettori turchi la possibilità di scegliere tra due modelli contrapposti e antagonisti. Da una parte quello di Erdogan, che nei suoi vent’anni di potere si è avviato sempre più velocemente sul crinale dell’autoritarismo, compromettendo la divisione dei poteri e sopprimendo diritti fondamentali. Dall’altra, l’alternativa offerta dal social-democratico Kilicdaroglu, che in campagna elettorale ha attaccato gli aspetti più illiberali dell’avversario, accusandolo di essere un uomo solo al comando e garantendo al suo posto maggiori garanzie democratiche.
In proposito, numerosi sono stati i piani sui quali l’offerta politica dei due leader si è differenziata. Sul campo economico, in primo luogo, al rifiuto di alzare i tassi di interesse di Erdogan, Kilichdaroglu ha opposto politiche monetarie finalizzate a ridurre l’inflazione, da anni fuori controllo. Infine, in materia di riforme, se Erdogan è stato il propugnatore della riforma della Costituzione del 2017 che ha trasformato la forma di governo in una Repubblica presidenziale di tipo autoritario, Kilicdaroglu si è fatto propugnatore dii un ritorno al precedente parlamentarismo, impegnandosi a ripristinarlo in caso di vittoria delle elezioni.