Fumogeni, proiettili di gomma, grida e battere di scudi. Alle prime luci dell’alba di martedì 11 Giugno, centinaia di poliziotti turchi in tenuta antisommossa hanno forzato il blocco dei manifestanti accampati in piazza Taksim, a Istanbul. E la protesta popolare che da due settimane infiamma la Turchia si asserraglia nel vicino parco Gezi, dove i rappresentanti delle 80 associazioni che protestano contro la costruzione di un centro commerciale continuano a far sentire la propria voce.
Fonti locali riportano il ferimento di decine di persone, che si vanno ad aggiungere ai cinquemila contusi dall’inizio delle proteste. Fino ad oggi, tre manifestanti e un poliziotto sono stati uccisi negli scontri con le forze dell’ordine.
E le parole del premier turco rilanciano il braccio di ferro tra il governo e la piazza. Recep Tayip Erdogan, da dieci anni al potere in Turchia, in un discorso ai rappresentanti del suo partito non ha lasciato dubbi sul futuro del parco Gezi: “Segheremo gli alberi di quel parco, saranno ripiantati in un altro posto”. Mentre il governatore, Huseyin Avni Mutlu, tenta a parole di riportare la calma: “La nostra intenzione è di rimuovere i cartelli e le immagini dalla piazza. Non toccheremo assolutamente nessuno a Gezi Park e a Taksim”.
A risentire delle proteste non è però solo la tenuta del governo. Negli ultimi giorni si é registrato un movimento di ritiro di capitali investiti dall’estero, tanto che la borsa di Istanbul ha perso più del 10% nel giro di una settimana, bruciando un miliardo di dollari circa. Anche la lira turca cede ed è ai livelli più bassi rispetto al dollaro dall’ottobre 2011.
Carlo Marsilli