File di carri armati lungo le strade principali, cannoni semoventi trasportati via treno, camionette dell’esercito con a bordo militari. Sui social media russi circolano immagini dello schieramento massiccio delle truppe di Mosca che si stanno spostando nella regione del Donbass. La tensione lungo i 250 chilometri della “linea di contatto” tra Ucraina e Russia monta da settimane.

Il conflitto latente – Da fine marzo, nove soldati ucraini sono stati uccisi in scontri a fuoco con separatisti appoggiati dal Cremlino. Di fatto il “cessate il fuoco” deciso dopo una tregua raggiunta lo scorso luglio non è più valido. Dal 2014, anno in cui la Russia si è impadronita della Crimea, i proiettili non hanno mai cessato di volare. Ma, stando alle testimonianze di ufficiali presenti lungo le vere e proprie trincee che dividono il territorio russo dalle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk, le ostilità attuali non hanno precedenti. Così come la Russia non aveva mai schierato un numero simile di truppe e armamentari bellici. Fonti dell’esercito americano parlano di circa quattromila soldati ricollocati nei territori contesi. Le azioni del Cremlino hanno spinto il Comando europeo delle forze armate statunitensi ad alzare il livello di guardia a “potenziale crisi imminente”, il più alto della scala. Il rischio concreto è che i due schieramenti vengano coinvolti in un’escalation dagli sviluppi imprevedibili.

Le ipotesi – Le ragioni dietro le mosse del Cremlino non sono chiare. C’è chi sostiene che si tratti di una controprovocazione nei confronti del neo presidente Usa Joe Biden, che il 18 marzo, in una intervista alla Abc, ha accusato Vladimir Putin di essere un assassino; altri sostengono che Mosca voglia dimostrare agli avversari di essere pronta a un nuovo scoppio delle ostilità. Secondo una terza ipotesi, il riacutizzarsi della tensione lungo il confine ucraino servirebbe a Putin come diversivo, per spostare l’attenzione internazionale dall’imprigionamento dell’oppositore Aleksey Navalnyj. Il Cremlino ha fornito una propria spiegazione: il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha parlato di «rischio di pulizia etnica» nei confronti dei cittadini russi presenti nella regione e della possibile ripetizione di una catastrofe umanitaria, evocando addirittura il fantasma di una nuova Srebrenica, con un riferimento a una delle peggiori stragi delle guerre nella ex Jugoslavia.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nelle trincee del Donbass il 9 aprile 2021 (foto Ansa)

Il fattore Nato – Un altro fattore che potrebbe aver spinto Mosca ad aumentare la presenza militare nel Donbass è la richiesta dell’Ucraina di essere ammessa tra i paesi dell’Alleanza atlantica. Il 10 aprile, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incontrato per un colloquio il suo omologo turco Recep Erdogan, il quale gli ha assicurato l’intenzione di non riconoscere l’annessione della Crimea. Pare che i due abbiano parlato anche della complicata situazione del Donbass: Erdogan, che guida un paese membro della Nato ma che nei confronti di Mosca tiene una posizione non priva di ambiguità, si è augurato che il “cessate il fuoco” resti in vigore. A proposito di un possibile ingresso di Kiev nella Nato, il portavoce del Cremlino Peskov ha avvertito: «La potenziale adesione alla Nato non solo non porterà la pace in Ucraina ma, al contrario, porterà a un aumento su larga scala delle tensioni nel sud-est, causando forse conseguenze irreversibili per la tenuta dello Stato ucraino».