Non solo missili e carri armati: la guerra in Ucraina si combatte anche a colpi di (dis)informazione. Ne è un esempio l’intervista rilasciata il 27 marzo, la prima dall’inizio del conflitto, dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky ai media russi. Il colloquio, durato un’ora e mezza e intitolato Questa non è una guerra. È molto peggio, ha visto Zelensky dialogare con quattro giornalisti russi ed è stata pubblicata su Meduza, una testata online con sede in Lettonia da sempre ostile al Governo di Vladimir Putin. Le parole di Zelensky sulla possibile «neutralità» geopolitica dell’Ucraina infatti non verranno lette in Russia: stando a quanto riportato da Sky News: sembra che l’ente regolatore di Mosca, Roskomnadzor, abbia avvertito i media di non lasciar trapelare nulla delle parole del presidente ucraino. La stessa Roskomnadzor aveva imposto, dal 4 marzo scorso, il divieto di descrivere quanto succede in Ucraina come “una guerra” o “un’invasione”, pena pesanti sanzioni.
La guerra “online” – Ma quali sono i limiti della censura di Stato a quella che alcuni commentatori hanno definito «the most online war of all time until the next one» (la guerra più online di sempre, fino alla prossima)? L’invasione russa dell’Ucraina si sta svolgendo online come nessuna guerra nella storia, fornendo un flusso di informazioni in tempo reale su piattaforme social come Twitter, Facebook e addirittura TikTok. Ma questa caratteristica unica del conflitto porta con sé un’ondata di disinformazione che è particolarmente difficile da individuare e crea una sorta di nebbia digitale, nella quale tutte le forze in campo cercano di diffondere la loro personale narrazione degli eventi.
Fake News – Nelle ultime settimane, ad esempio, clip di videogiochi e scene di vecchie guerre presentate come immagini dal fronte ucraino sono diventate virali insieme a notiozie verificate. Video delle vittime dei bombardamenti sono stati tacciati di essere semplici messinscene compiute da attori. E i resoconti ufficiali dei governi di entrambi gli schieramenti hanno rilasciato dichiarazioni infondate o fuorvianti, che vengono rapidamente amplificate online. Ad esempio, non è ancora stato possibile stabilire con certezza quale esercito sia responsabile del lancio del missile su Donetsk che il 14 marzo ha ucciso 20 civili, tra cui diversi bambini, perché sia Russia che Ucraina si accusano reciprocamente della tragedia. A scanso di equivoci va specificato come la propaganda ucraina, che si limita principalmente a celebrare eroi e martiri di guerra preferendo a volte toni epici all’aderenza alla realtà, non sia minimamente paragonabile alla macchina mediatica russa, che dall’inizio dell’invasione propone in patria una narrazione fortemente influenzata del conflitto, visto come un’operazione speciale per liberare il popolo ucraino dal nazifascismo.
Una strategia precisa – Come ha analizzato il centro studi sulla politica internazionale Ispi, «l’utilizzo degli strumenti della comunicazione, della propaganda e della manipolazione delle informazioni da parte di stati e leader politici per orientare opinioni e consensi non è un fenomeno inedito». Di recente, usi strumentali delle informazioni si sono visti durante la pandemia di Covid-19, e prima ancora nella campagna presidenziale americana di Donald Trump del 2016 (sulla quale molti affermano sia stato decisivo l’intervento della macchina propagandistica del Cremlino). L’evoluzione e la pervasività dei nuovi media hanno indubbiamente favorito la rapida divulgazione delle informazioni, annullando quasi del tutto lo scarto temporale tra fatto e notizia, riducendo però la possibilità di verificarne l’attendibilità da parte di giornalisti e operatori. «Il mondo di oggi» ha analizzato Ispi, «è ben lontano dalle chiare logiche tipiche della propaganda del periodo della Guerra fredda, i contenuti della disinformazione risultano adesso molto più variegati e l’identificazione dei loro responsabili sempre più difficile». Per descrivere questo fenomeno, gli studiosi hanno coniato l’espressione “post-verità“, che descrive il diffondersi di notizie false (fake news) o costruite ad arte che, spacciate per vere, finiscono per influenzare una parte dell’opinione pubblica.
Le contromisure – In una guerra come quella in corso, dove la comunicazione serve per orientare l’opinione pubblica dalla propria parte (specie quella di eventuali alleati esterni), manipolare le informazioni diventa importante tanto quanto avere i missili più all’avanguardia o le truppe meglio addestrate: non è un caso infatti che i commentatori parlino in questi giorni di information warfare, una vera e propria strategia d’attacco al nemico con i contenuti invece che con le armi. Le grandi piattaforme hanno adottato misure per fornire agli utenti una verifica sui contenuti relativi all’Ucraina. Twitter e i social network di proprietà di Meta, Instagram e Facebook, hanno iniziato a rimuovere o etichettare i contenuti pubblicati o collegati a media russi controllati dallo Stato, inclusa la rete televisiva Russia Today. TikTok ha affermato di aver vietato la «disinformazione dannosa», anche se non è chiaro in che modo.
Utilizzo consapevole – Nessuna di queste operazioni però può fermare da sola l’infodemia (ossia l’abbondanza di informazioni che provoca disinformazione) sulle piattaforme digitali. Per ridurre le fake news è necessario prima di tutto insegnare agli utenti come evitare di amplificare e condividere notizie false: strumenti come il fact-checking e il debunking diventano quindi imprescindibili nel filtrare informazioni verificate dall’enorme flusso di notizie disponibile. È in quest’ottica che il 10 marzo si è tenuto un incontro via Zoom tra esponenti del governo Usa e i principali influencer di TikTok, per rispondere alle domande sulla guerra in Ucraina e discutere del ruolo degli Stati Uniti nel conflitto. «Riconosciamo che questo è un mezzo di grande importanza attraverso cui si informano gli americani», ha detto il direttore della strategia digitale della Casa Bianca Rob Flaherty durante il collegamento, «Così abbiamo voluto assicurarci che i più giovani abbiano le informazioni da una fonte autorevole». Se lo scopo del giornalismo è quello di testimoniare gli eventi, internet e i social network rappresentano degli strumenti essenziali per raccontare in tempo reale cosa succede in un territorio pericoloso e difficile da raggiungere come l’Ucraina, ma tutto dipende dal modo con cui la comunità ne usufruisce. D’altronde, come affermava lo storico Melvin Kranzberg, «la tecnologia non è né buona né cattiva. Ma non è neanche neutrale».