Un Paese costantemente sull’orlo della crisi, una tregua che in Ucraina non regge se non per pochissimi giorni. Nonostante la cessazione delle ostilità entrata in vigore solo due giorni fa, martedì 9 dicembre, nelle ultime 24 ore sono stati uccisi tre soldati ucraini e altri otto sono rimasti feriti. Questa la denuncia di Andriy Lisenko, portavoce del Consiglio di sicurezza. La tregua era stata concordata lo scorso 4 dicembre e confermata dalle autorità dei separatisti filorussi, dopo una serie di annunci di tregue locali sistematicamente infrante nei giorni successivi. Si trattava del secondo cessate il fuoco dall’inizio del conflitto separatista lo scorso aprile, dopo quello concordato il 5 settembre nella capitale bielorussa, Minsk, che non aveva portato a una totale cessazione delle ostilità.
Secondo le forze armate di Kiev, tra l’altro, i ribelli nelle ultime 24 ore hanno violato il cessate il fuoco 22 volte contro le 14 del giorno precedente. Di contro i separatisti sostengono di aver dato inizio al ritiro delle armi pesanti dalla zona meridionale della regione di Donetsk, che si trova attualmente sotto il loro controllo. Denis Pushilin, presidente del parlamento dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, ha dichiarato che sono stati arretrati i pezzi di artiglieria di calibro superiore ai 100 millimetri. L’accordo raggiunto prevedeva il ritiro dell’artiglieria al fine di creare una zona cuscinetto larga 30 chilometri.
A questo quadro preoccupante si aggiunge la notizia che decine di uomini armati provenienti dalla Cecenia, repubblica autonoma della Federazione Russa, si sono recati nell’est dell’Ucraina per dare il loro sostegno ai ribelli. Nelle immagini diffuse da Reuters e raccolte da Euronews (vedi sotto), l’unità cecena chiamata “Morte” si sta addestrando in un campo militare dei ribelli, al grido di “Allah è grande”. Il battaglione agisce nei dintorni di Donetsk, nell’est dell’Ucraina, ed è composto da 300 volontari, in gran parte ex-agenti della sicurezza pubblica cecena, fedeli al leader paramilitare e primo ministro reggente Ramzan Kadyrov, tra l’altro sostenuto dal Cremlino.
Matteo Furcas