Che sia deserto o steppa non conta. Già ai tempi della campagna di Libia i russi avevano un problema con i droni turchi, ben più che con le milizie locali. Uno scenario che in Ucraina si sta ripetendo, di nuovo. Una pattuglia di velivoli teleguidati contro cui Mosca non riesce proprio a trovare le misure, una nemesi per l’armata russa; come lo era stata la flotta aerea britannica nei confronti della Wehrmacht nel 1942. Si chiamano droni Bt2: al momento sono i principali strumenti di difesa dello Stato ucraino, che li ha comprati da Ankara per difendersi dall’invasione di Putin. E che ora vorrebbe in regalo, dopo averne intuito la potenzialità distruttiva, per provare a ribaltare le sorti della guerra. Se sono vere anche solo la metà delle perdite che Kiev sostiene di aver inflitto a Mosca (12mila soldati uccisi), il merito è stato proprio del drone turco capace di scavalcare le linee e colpire le parti meno protette del fronte nemico: i camion della logistica, i trasporta truppe, le cisterne di carburante, le comunicazioni. Soprattutto trasmettono frustrazione ai comandanti e insicurezza in tutte le retrovie dell’armata di Mosca, che temono le imboscate della resistenza da terra e l’arrivo dei droni dall’alto.

Un’arma decisiva – Si chiamano Bayrakat Bt2, e sono droni bombardieri. Sono teleguidati, con i loro operatori al sicuro da eventuali controffensive, e sono agili. Pesano circa 600 chili, molto meno rispetto ai concorrenti statunitensi, israeliani e cinesi. Soprattutto costano meno della metà: 10 milioni di dollari. Il Bayraktar fa, in piccolo, il lavoro che farebbe un cacciabombardiere da 200 milioni, solo che si nasconde in cantina in caso di bombardamento e si trasporta con un furgoncino. Decolla da una strada, passa sopra le linee, con le sue telecamere permette di, inquadrare il bersaglio e sparare, in sicurezza. Un congegno made in Turkey messo a punto dalle industrie di Selcuk Bayraktar, genero del presidente Erdogan, nella infinita repressione di Ankara contro i curdi, e che a Kiev e Odessa stanno compiendo raid di grande importanza.

Una storia già vista – Il debutto internazionale dei Bt2 è stato contro l’Isis in Siria. Poi contro le forze di Assad, contro il generale Haftar in Libia nel 2019 e nel 2020 in Nagorno-Karabakh ha fatto vincere l’Azerbaijan contro l’Armenia, in Etiopia ha salvato il governo dai ribelli tigrini. Un’aviazione a basso costo e abbastanza rustica da non temere gli ambienti complicati del fronte. Del resto, l’organizzazione di mercenari Wagner che tentò l’affondo decisivo su Tripoli, già nel 2019 avvertì Mosca di avere “qualche problema con i droni”. Una minaccia inattesa, eppure sottostimata dai generali dell’Armata, forti della contraerea schierata: i missili terra-aria inviati dal Cremlino diedero grande soddisfazione nei primi mesi del conflitto, ma si dovettero arrendere alla sfuggevolezza di velivoli di Ankara.

Un rapporto ambiguo – Erdogan ha da sempre un rapporto sinusoidale con Putin: a fine 2015 Ankara e Mosca diedero il via a un pesante scambio di accuse e minacce dopo l’abbattimento di un jet russo al confine siriano da parte dell’esercito turco. Un evento che fece precipitare i due Paesi in una crisi di cui era difficile intravedere una possibile soluzione, ricomposta poi grazie a calcoli di realpolitik operati da Ankara: Erdogan guida infatti un Paese costretto a importare più del 90 per cento del proprio fabbisogno di gas dall’estero, il 60 per cento del quale proprio dalla Russia. La soluzione della contesa fu il preludio a una vera luna di miele tra i due autocrati, sopravvissuta all’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, Andrej Karlov, avvenuto a fine 2016, quando il riavvicinamento tra i due Paesi era iniziato da pochi mesi. Una pace che ha permesso a Erdogan e Putin di costruire negli ultimi anni intese militari, strategiche, energetiche e commerciali e accordi in Siria e Nagorno Karabakh.