Sembra quasi una partita a poker, tra presunti bluff e conclamati rilanci. La crisi ucraina continua a camminare su un filo, in bilico tra la minaccia del conflitto e la speranza di evitarlo attraverso la «creazione di un nuovo ordine di sicurezza europeo», come da proclama del presidente francese Emmanuel Macron, che l’8 febbraio ha incontrato al Cremlino, con risultati finora incerti, Vladimir Putin. La crisi, alimentata dal dispiegamento da parte di Mosca di oltre 100mila soldati lungo il confine con l’Ucraina – nella regione filorussa del Donbass, in Crimea e in Bielorussia – si è arricchita di un nuovo capitolo nella giornata del 9 febbraio, con la Russia che ha avviato un’esercitazione militare proprio con il suo più grande alleato nella regione, la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko. Nulla per cui allarmarsi, secondo Putin: «L’esercitazione era già in programma da giorni», le parole del gran capo del Cremlino, confermate a stretto giro di posta da quelle del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, secondo cui le manovre in Bielorussia (denominate Union Resolve 2022, ndr) avranno luogo fino al 20 febbraio e si concentreranno sulla «soppressione e il respingimento di aggressioni esterne».
Tuttavia è innegabile che l’operazione, iniziata a sole 24 ore di distanza dalla storica visita di Macron, è stata vista dalle cancellerie occidentali come un guanto di sfida, l’ennesimo, lanciato nei confronti dell’Ucraina e, soprattutto, dei suoi alleati in seno alla Nato. «Stanno cercando di intimidirci – ha lamentato il presidente ucraino Vladimir Zelenskij – l’accumulo di forze al confine conferma la pressione psicologica a cui i nostri vicini stanno cercando di costringerci». Parole nette, avallate dal ministro degli Esteri di Kiev, Dmitri Kuleba «Le navi russe ci bloccano nel Mar Nero, questo infrange tutti i principi e le regole internazionali». Dopo due giorni di calma apparente, il termometro della crisi è dunque tornato a segnare rosso.

La mediazione (fallita?) – «Vogliamo la pace, ma non a qualunque prezzo». Già due volte campione del mondo dei pesi massimi di boxe, il sindaco di Kiev Vitali Klitschko è sembrato infilare i guantoni per il round più importante della sua carriera. Nel suo monito riecheggiano le parole del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del presidente polacco Andrzej Duda e di Emmanuel Macron, che in una nota congiunta hanno comunicato che «Siamo tutti uniti per un unico obiettivo: preservare la pace in Europa». Un obiettivo da non barattare con l’integrità territoriale e la sovranità di Kiev: «In caso di aggressione reagiremmo: è dai tempi della Seconda Guerra Mondiale che non si vede un simile dispiegamento di forze in Europa», ha dichiarato Macron. E proprio con il grande conflitto del 1939 sembrano sprecarsi i paragoni: molti analisti internazionali hanno bocciato il nuovo tentativo di mediazione dell’inquilino dell’Eliseo, che già nel 2019 aveva sottolimneato la necessità di venire incontro alle esigenze della Russia di Putin (indispettendo non poco gli alleati della Nato, Angela Merkel in testa). Macron, presidente di turno del Consiglio dell’Ue, desideroso di guadagnare credito a pochi mesi dalle presidenziali francesi, si è proposto come anfitrione della risoluzione della crisi: ha però incassato il secco niet di Mosca in merito alle proposte di disarmo: un tentativo alla Charles de Gaulle, che però lo avvicina idealmente di più a Eduard Daladier, artefice assieme a Neville Chamberlain della sciagurata politica aperturista del 1938 nei confronti delle mire tedesche sulla Cecoslovacchia, poi passata alla storia come quella dell’appeasement.

Diplomazie al lavoro – Intanto Boris Johnson ha fatto sapere che il Regno Unito è pronto a dispiegare altre mille soldati nel caso in cui il volume della crisi dovesse salire ulteriormente. L’inquilino di Downing Street venerdì 11 febbraio sarà a Bruxelles per incontrare il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e a Varsavia dove vedrà il presidente polacco Duda e il premier Mateusz Morawiecki. «L’Alleanza deve tracciare una linea sulla neve ed essere chiara sul fatto che ci sono alcuni principi sui quali non transigeremo», ha sottolineato il premier britannico, citando «la sicurezza di ogni alleato in seno alla Nato e il diritto di ogni democrazia europea di aspirare a farne parte». Il veto di Putin all’adesione ucraina all’Alleanza atlantica è uno dei nodi cruciali dell’attuale crisi tra la Russia e l’Occidente. Il presidente statunitense Joe Biden l’8 febbraio ha ricevuto alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz, confermando il blocco del progetto del gasdotto Nord Stream 2 nel caso in cui la Russia dovesse concretizzare l’invasione, mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, su Twitter, ha segnalato un «buon colloquio proprio con Scholz a Berlino. «Ci siamo concentrati sulla situazione ai confini dell’Ucraina e abbiamo preparato i prossimi vertici» ha twittato Michel.

Una nuova Finlandia? – Molti analisti internazionali parrebbero suggerire una terza via di uscita per la risoluzione della crisi: quella che vedrebbe la cosiddetta “finlandizzazione” dell’Ucraina, che assumerebbe una posizione di Stato cuscinetto, neutrale e filorusso, sulla falsariga di quanto avvenne con il Paese scandinavo durante la Guerra fredda. In occasione dell’invasione russa della Crimea del 2014, financo Henry Kissinger e Zbignew Brezinski, rispettivamente ex segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale Usa, avevano suggerito l’”opzione Finlandia” per il futuro di Kiev. La partita resta aperta a ogni scenario. Assi nella manica non sembrano essercene e nessuno si azzarda a rischiare l’all in.