«Ho un sogno, queste parole sono note a ciascuno di voi. Ma oggi dico: ho una necessità. La necessità di proteggere il nostro cielo. Della vostra decisione. Del vostro aiuto». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky davanti al congresso americano cita Martin Luther King, in una videochiamata di 15 minuti dal suo bunker di Kyev. Parla del valore della libertà, «della pace che è più importante del profitto». Nelle stesse ore, Vladimir Putin parla per più di mezz’ora a una conferenza a sostegno dei territori della Federazione russa, la prima dall’invasione iniziata il 24 febbraio: «Siamo stati costretti all’”operazione militare speciale dal genocidio perpetrato dalle forze ucraine nel Donbass, aiutate da un Occidente disumano, moralmente degradato e bugiardo».
Civiltà – Benché per qualunque osservatore esterno ci siano pochi dubbi su chi sia l’aggredito, l’Ucraina, e chi l’aggressore, la Russia, la retorica del conflitto prende logicamente due strade opposte. E, soprattutto nelle parole dei due uomini simbolo, Putin e Zelensky, si sta configurando sempre più come uno scontro tra civiltà. Da una parte la Russia, «minacciata da azioni che ricordano quelle dei nazisti» secondo il suo presidente, dall’altra l’Occidente, e in particolare l’America, «portatore dei diritti per i quali la popolazione ucraina si sta battendo», ha affermato l’ex comico durante il suo discorso.
Sanzioni – Oltre agli ideali, che permeano le parole di entrambi i leader, ci sono le ezioni concrete: le sanzioni, che Zelensky chiede di intensificare, ogni settimana sempre di più, «finché l’esercito russo non avrà più risorse per finanziarsi». «Chiediamo a tutte le compagnie americane», prosegue il presidente ucraino, «di chiudere le sedi in Russia, bagnate dal nostro sangue». Le stesse sanzioni che, a detta di Putin, sono decise «da un impero della menzogna con il solo scopo di danneggiare gli onesti cittadini russi, che stanno soffrendo pene indicibili di cui non hanno alcuna colpa». Il leader del Cremlino sostiene che l’obbiettivo è quello di cancellare la Russia, arrivando a paragonare l’azione di contenimento delle truppe ucraine ai pogrom antisemiti.
Aiiuti – Un altro tema sul quale i due presidenti hanno messo l’accento è il rifornimento di armi alla resistenza ucraina: Zelensky si è rivolto al presidente statunitense Joe Biden, investendolo del ruolo di «leader mondiale che, in quanto tale, deve difendere la pace in tutto il mondo». Magari a capo di una nuova organizzazione, di una “U24”, «un’Unione di Paesi responsabili» per prevenire prossimi conflitti. Nell’immediato, l’ex attore insiste sulla necessità di istituire la no – fly zone sui cieli ucraini, ritenuta però impraticabile dagli americani. «Non è possibile?», chiede retoricamente. «Mandateci allora droni e altri aerei». Invito accolto con la promessa di aiuti per un totale per 800 milioni di dollari.
Dai toni dello zar, che già considerava una dichiarazione di guerra l’invio di armi all’Ucraina da parte della Nato, non è chiaro quanto sia disposto ad andare avanti. Oltre le accuse al «diavolo» che è l’Occidente corrotto e causa di questo conflitto, l’affermazione più rilevante è che «l’invio di truppe a Kyev non equivale a dire che vogliamo invadere l’Ucraina». «Tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale verranno comunque raggiunti», specifica.
Immagini – Zelensky al Congresso americano decide di mostrare le immagini di questi obiettivi: la ragazza incinta che non è sopravvissuta al bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, anziani con le flebo su una sedia a rotelle, attacchi missilistici, decine di bambine stipati in 10 metri quadri: «Stiamo combattendo per tutti voi, stiamo pagando il prezzo delle azioni di un tiranno che vuole cancellare il nostro Paese», dice commosso al Congresso. Putin non fa menzione di questi morti, ma ricorda con gli stessi toni drammatici un bombardamento che ha causato 20 morti civili avvenuto gli scorsi giorni nella regione del Donbass. Ma il punto più inquietante del suo discorso, secondo molti analisti, consiste nell’accusa alla «feccia e ai traditori che il popolo russo sarà in grado di distinguere e sputare fuori come un moscerino che gli è volato accidentalmente in bocca». Secondo la politologa anti Cremlino Stanovaja, intervistata dal New York Times, sono parole che alludono alle purghe staliniane, «parole che trasudano disperazione e impotenza», afferma: «Potrebbe essere l’inizio della fine. Mi sembra che attorno a Putin tutto cominci a sgretolarsi»