Continua l’ondata di repressione dei manifestanti che ripetono le piazze russe per protestare contro la guerra. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza ieri, 6 marzo, in 12 città al grido di «viva la pace» e «vergogna». Gli arresti, secondo OVD info, progetto mediatico indipendente dedicato alla persecuzione politica, sono stati 4.300 (3.500 per il ministerio degli Interni). A oggi sono 5.049 le persone detenute in 69 città nel Paese, 2.403 solo a Mosca. Dal 24 febbraio, inizio dell’invasione dell’Ucraina, il numero totale sale a 13.395

«Stop alla guerra»  – Una parte crescente dei cittadini russi non vuole il conflitto. Non crede alla narrazione dell’«operazione militare speciale». Ha potuto vedere, nonostante la soppressione da parte del governo di Facebook, Twitter e di tutti i canali di informazione indipendente, i video dei connazionali uccisi nel conflitto in Ucraina. Anche qui le cifre divergono, dai 5.000 sbandierati dal governo di Zelensky ai 498 dichiarati dal ministro della Difesa russo.
«Voglio che la gente capisca che non si tratta di un falso, il mio ragazzo di diciannove anni è stato spedito a combattere con l’inganno
, non sapeva neppure dove era diretto», ha affermato una donna in un video che la ritraeva sotto il monumento di Lenin, in una città sperduta della Siberia meridionale. È il grido di dolore di madri e parenti rilanciato, nella lotta a colpi di propaganda e fake news che sta caratterizzando il conflitto, dal governo ucraino. Emblematico l’annuncio, vero o falso che sia, in cui si affermava la possibilità per i giovani soldati russi prigionieri di poter tornare tra le braccia dei propri cari. Ancora più toccante, qualche giorno prima, ilo scambio su Whatsapp, diffuso sempre da fonti ucraine, di un soldato che raccontava alla madre di essere stato raggirato e inviato, come tanti altri, a combattere una guerra che non sente propria, che probabilmente non sente nemmeno giusta. Ha paura, diceva, non voleva uccidere i civili.

La guerra dell’informazione –. Proprio perché la guerra viene combattuta anche sui mezzi di comunicazione, forse per la prima volta con un impatto tanto rilevante, la Duma di Mosca ha approvato lo scorso venerdì 4 marzo una legge che alza da tre a quindici gli anni di reclusione per chi utilizza il termine «conflitto» o diffonde «fake news». Una misura che ha costretto corrispondenti e inviati delle emittenti occidentali, dalla Bbc a Abc News, da Reuters alla Rai, ad abbandonare il Paese per non rischiare di essere arrestati. I due corrispondenti Italiani, Marc Innaro da Mosca e Sergio Paini dal confine Russia – Ucraina, e altri quattro inviati Rai potranno continuare raccontare il conflitto da città ucraine, prendendo informazioni da emittenti indipendenti.
«La sospensione dei servizi dalla Russia in base a ragioni di sicurezza è puerile. I canali occidentali come la Bbc hanno sospeso il servizio perché avevano un canale in russo con giornalisti locali che potevano ricadere sotto le leggi di Putin. Al massimo i giornalisti italiani rischiavano l’espulsione», ha commentato tuttavia lo storico inviato di guerra Alberto Negri.

Fuori gli stranieri – Putin potrà così continuare la sua “operazione di pace”. Ordinare arresti, imporre condizioni svilenti per cessare il conflitto, prendersi gioco dei leader occidentali. A dispetto delle proteste che si stanno succedendo in questi giorni. Tuttavia, secondo Mara Morini, professoressa all’Università degli Studi di Genova e autrice del libro “La Russia di Putin”, una rivolta dal basso non è per adesso possibile, dati anche gli indici di gradimento in salita, dal 63 al 68 per cento dall’inizio del conflitto, secondo l’Ong indipendente Levada center.  «Solamente una sconfitta in questo conflitto e/o la crisi economica russa dei prossimi mesi, generata dalle sanzioni occidentali, potrebbero accelerare la successione di Putin. Non illudiamoci troppo», ha concluso Morini.

 

 

 

 

 

 

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