Cosacchi e volontari filorussi in Crimea

Cosacchi e volontari filorussi in Crimea

“Decentramento del potere” e “leve economiche” sembrano essere le parole attorno a cui si sta giocando la partita ucraina. Le prime fanno riferimento a quanto detto mercoledì 5 marzo dal primo ministro di Kiev Arseni Iatseniuk, atteso giovedì al Parlamento Europeo e poi in visita a Parigi: “Il nostro obiettivo, come nuovo governo – ha detto il premier – è il decentramento del potere. Il vice premier Volodimir Groisman sarà responsabile di un pacchetto di rapide riforme sui governi locali”. Il concetto è stato accompagnato da ovvie rassicurazioni sulla non bellicosità dell’Ucraina – “Non vogliamo combattere i russi” – e sembra ben accordarsi con le intenzioni della Crimea, la penisola russofona a sud del Paese.

I tempi per il referendum autonomista si sono infatti accorciati: il voto è stato frettolosamente anticipato alla metà del mese, e i toni in ventiquattro ore sono cambiati: “Vogliamo un accordo di libero scambio con Mosca e l’indipendenza dall’Ucraina”, ha dichiarato mercoledì il neo premier locale, filorusso, Serghiei Aksenov. Fino al giorno prima di secessione non si parlava. Da una settimana, intanto, sul tetto del parlamento di Crimea già sventola la bandiera di Mosca, e bande filo-russe (o agenti russi in borghese, secondo altre versioni) proseguono l’occupazione di punti strategici. Mercoledì a Simferopoli, la capitale della penisola, una cinquantina di soldati senza insegne ha circondato e preso la base militare di via Marx che ancora alzava la bandiera di Kiev, mentre più a ovest, a Evpatoria, la stessa sorte è toccata a un’altra base contenente missili non armati. La Crimea pare quindi destinata a diventare la nuova Ossezia, uno stato di fatto autonomo e appendice russa.


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Un quadro di conquista che Mosca smentisce con forza: “Sono provocazioni, in Crimea non esistono forze russe”, ha dichiarato martedì il ministri degli esteri Serghiei Shoigu a proposito delle foto e dei video che circolano su internet con tanto di targhe russe. Il Cremlino vuole mantenersi all’interno della legittimità internazionale – almeno ufficialmente, secondo i detrattori. “L’arrivo di osservatori internazionali deve essere deciso non da noi ma dall’Ucraina e dalla Crimea”, ha aggiunto Shoigu, analogamente a quanto detto il giorno prima dal presidente Putin, neo-candidato al Nobel per la Pace: un possibile intervento russo sarà “legittimo” in caso di richiesta di una parte del paese o di bagno di sangue post elettorale. Condizioni non difficilmente verificabili, all’oggi, anzi addirittura pianificabili da Mosca: “La Russia vuole provocare un primo spargimento di sangue che porti a un conflitto militare”, ha risposto il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza ucraino, Andrii Parubii. Tanto più che la Duma sta preparando delle contromosse alle sanzioni occidentali in caso di intervento: è al vaglio in queste ore una legge che consenta di confiscare i beni delle imprese e dei cittadini americani ed europei in caso di sanzioni.

Le leve economiche dell’Unione Europea, d’altra parte, stanno già venendo meno: mercoledì 5 il governo tedesco ha detto di voler abbandonare questa strada per sostituirla con quella del dialogo, ossia un Gruppo di contatto. Di sanzioni si parlerà ancora Bruxelles giovedì, comunque è certo che un braccio di ferro, soprattutto per quel che riguarda la rinuncia alle forniture di gas e petrolio dalla Russia (rispettivamente il 70 e quasi 90 per cento dell’esportato), si rivelerebbe un gioco al massacro per entrambi i contendenti. Per tutelare la democrazia e proseguire l’avvicinamento di Kiev a Ovest, perciò, si procede con gli aiuti: mercoledì il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha promesso un “pacchetto di supporto per l’Ucraina” che varrà “11 miliardi nei prossimi due anni”. Ovviamente a patto di una svolta ancor più democratica del governo ucraino e di riforme strutturali nel Paese.

Aiuti finanziari ha promesso ieri anche il segretario di stato americano John Kerry, in visita a Kiev: si parla di un miliardo di dollari, e un gruppo di tecnici della Casa Bianca starebbero già pensando a come aiutare la Banca Nazionale dell’Ucraina e il Ministero del Tesoro a resistere ai mercati.

Mentre anche l’Italia cerca di dare il suo contributo – mercoledì pomeriggio il ministro Mogherlini volerà a Parigi per incontrare l’omologo russo – l’Ucraina somiglia sempre più a un teatro di guerra. Fredda, per la precisione. In mattinata l’Osce ha inviato a Odessa una missione di 35 osservatori militari di vari Paesi su richiesta di Kiev. L’obiettivo è “dissipare le preoccupazioni su attività militari insolite” e il riferimento è all’azione russa, sebbene Mosca punti il dito contro le associazioni nazionaliste (naziste, per il Cremlino e non solo). Inoltre mercoledì il parlamento ucraino ha registrato una proposta per l’ingresso del Paese nella Nato, avanzata dal partito di Iulia Timoshenko. Lo scontro tra Mosca e Washington sta per tornare all’orizzonte, come la portaerei Usa al largo di Sebastopoli.

Eva Alberti