Roma, le 10 del 14 marzo. Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale americana, e Yang Jiechi, membro del Politburo del Partito comunista e Direttore dell’Ufficio della Commissione per gli affari esteri, si incontrano all’hotel Waldorf Astoria, quartiere di Monte Mario, per una soluzione all’invasione russa dell’Ucraina.

Gli attriti – Solo poche ore prima, un ufficiale statunitense aveva svelato al Financial Times la richiesta di armi alla Repubblica Popolare da parte del presidente russo Vladimir Putin. Notizia bollata come «fake news» dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao: «Gli Stati Uniti hanno diffuso disinformazione sulla questione dell’Ucraina, prendendo di mira la Cina, con intenzioni malevole». Jake Sullivan ha invece deciso di non commentare l’argomento, affermando solo che «ci saranno conseguenze devastanti se la Cina deciderà di aiutare la Russia ad evadere le sanzioni». Alle 12.30 è arrivata anche la smentita di Peskov, ufficiale russo, riportata dalla Tass, agenzia di stampa ufficiale russa.

Ieri i media statali cinesi hanno ribadito l’accusa di Putin secondo cui gli Stati Uniti starebbero sfruttando il territorio ucraino per costruire armi chimiche. Xinhua, l’agenzia di Stato ufficiale, ha pubblicato un’immagine satellitare di un presunto laboratorio individuato dalla Russia. Anche il Global Times, un tabloid nazionalista, ha riportato una storia basata su un articolo di un quotidiano russo, Izvestia, in cui un anonimo ex ufficiale ucraino denunciava aiuti militari americani tenuti nascosti. Intanto, mentre si sta svolgendo l’incontro, la Cnn  ha affermato che Mosca, oltre all’assistenza militare, ha chiesto a Pechino anche un aiuto economico e logistico, attraverso l’invio dei droni. Notizia smentita da Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington: «Non ho mai ricevuto richieste del genere. La nostra priorità ora è di evitare che un’escalation porti a una crisi umanitaria fuori controllo».

Gli interessi del dragone – A monte di accuse, smentite e tensioni, c’è comunque il rifiuto di Xi Jinping a una netta condanna dell’invasione: «Pur ripudiando la guerra e rispettando la sovranità nazionale ucraina, riteniamo che alla base del conflitto ci sia l’atteggiamento aggressivo e scorretto della Nato». Solo 20 giorni prima dell’inizio della guerra aveva invitato Putin in occasione delle Olimpiadi, primo incontro concesso a un altro leader dallo scoppio della pandemia, e trentottesimo faccia a faccia con il leader del Cremlino. A margine dei colloqui avevano definito «senza limiti» la cooperazione tra i due Paesi. Anche sulla questione Ucraina. Fonti di Pechino affermano che Putin aveva già avvisato Xi dell’aggressione, omettendo però la portata del conflitto, o essendosi sbagliato lui stesso sulla possibilità di un’invasione lampo.

Gli interessi economici della Cina sono d’altronde troppo grandi per garantire un pieno supporto a Putin e rischiare di perdere il mercato di esportazione occidentale. L’effetto delle sanzioni, che continua a condannare, alla lunga potrebbe avere gravi effetti anche sulla sua economia. Lo scambio commerciale con la Russia ammonta a 147 miliardi di dollari. Quello con gli Stati Uniti 750 miliardi, con l’Unione europea oltre gli 820. Secondo molti analisti, Pechino, che già sta traendo vantaggio da un allentamento del “pivot to Asia” americano, potrebbe sfruttare l’incontro di oggi per chiedere una riduzione dei dazi sulle sue esportazioni imposti da Donald Trump. In cambio di un impegno a fare pressione su Putin per un allentamento del conflitto, soluzione migliore per entrambe le parti.