Foto: Ansa

La repressione cinese contro le minoranze musulmane torna a infiammare i rapporti Usa-Cina. Mercoledì 3 febbraio il Dipartimento di Stato si è detto «profondamente turbato» dalle notizie di stampa su violenze e abusi contro le donne uiguri detenute nei campi di internamento del distretto Xinjiang. Una persecuzione per la quale l’amministrazione di Joe Biden promette «gravi conseguenze». Una presa di posizione che rientra nella risposta diversificata alle prove di forza eseguite da Pechino dopo l’approdo alla Casa Bianca del neo presidente.

Il rapporto – A riportare l’attenzione sul problema è stato un reportage pubblicato dalla Bbc in cui l’emittente britannica racconta come quelli che Pechino chiama «campi di rieducazione» siano in realtà veri e propri lager da oltre un milione di prigionieri dove le donne vengono sottoposte a violenze d’ogni tipo. Un’inchiesta molto dettagliata che descrive, tramite la testimonianza diretta di alcuni ex detenuti e perfino di una guardia, un vero e proprio «sistema organizzato di stupri di massa, abusi sessuali e torture». La Bbc ha affermato di non essere in grado di verificare in modo indipendente le storie di abusi, ma stando alla stampa internazionale i dettagli chiave e i documenti disponibili corrispondono alle tempistiche e alle immagini satellitari oltre che essere coerenti con numerosi altri resoconti di ex prigionieri.

Le schermaglie – Tramite una portavoce del Dipartimento di Stato, il governo americano ha subito accusato la Cina di commettere «crimini contro l’umanità e il genocidio» nello Xinjiang. «Queste atrocità sconvolgono la coscienza e devono essere affrontate con gravi conseguenze», ha proseguito il funzionario, che ha chiesto alla Cina di consentire «indagini immediate e indipendenti da parte di osservatori internazionali», minacciando di «prendere in considerazione tutti gli strumenti appropriati per promuovere la responsabilità per i colpevoli e scoraggiare abusi futuri». Secca la risposta del Dragone, che per bocca del ministro degli Esteri, Wang Wenbin, ha definito il rapporto della Bbc come testo «del tutto privo di basi fattuali» e ha accusato i testimoni di essere «attori che diffondono informazioni false».

L’approccio di Biden – In passato l’amministrazione Trump ha imposto pesanti sanzioni a funzionari e aziende collegate agli abusi contro gli uiguri e Biden non vuole essere da meno. Il presidente neo eletto ha ribadito più volte di voler continuare a tenere un approccio duro con Pechino su questo ed altri temi, dal commercio ai furti tecnologici, ponendosi di fatto in continuità con il suo predecessore nella lotta all’espansionismo cinese. Non a caso, sempre in questi giorni, Washington ha espresso una posizione netta anche nei confronti del colpo di stato in Myanmar, sul quale la Cina ha invece mostrato una certa condiscendenza bocciando la bozza di risoluzione Onu che condannava il golpe. Il nuovo segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha invitato i militari golpisti a rilasciare la leader del Paese, Aung San Suu Kyi, e a rispettare la volontà del popolo espressa nelle elezioni democratiche dello scorso 8 novembre.

Una persecuzione di lunga data – Minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona, gli uiguri risiedono principalmente nella vasta regione dello Xinjiang, nel Nord-Ovest della Cina, dove rappresentano il 46% della popolazione. Le violazioni nei loro confronti si sono intensificate con l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001, quando Pechino ha deciso un giro di vite sui gruppi islamici presentandolo all’opinione come una campagna di lotta al terrorismo. Nel 2017 sono iniziate a trapelare notizie all’estero sull’esistenza di campi definiti «di trasformazione attraverso l’educazione», nei quali gli uiguri verrebbero fatti prigionieri e torturati. Secondo uno studio dell’istituto di ricerca di geopolitica Jamestown Foundation, questi lager esisterebbero dal 2014 e oltre un milione di persone appartenenti a minoranze etniche di religione musulmana vi sarebbe imprigionato.