La maggioranza conservatrice della Corte Suprema americana sta accarezzando l’idea di vietare l’aborto. È il feedback dato ieri, 1 dicembre, da sei dei nove giudici dell’organo legislativo durante il primo dibattimento che vede al vaglio costituzionale la controversa legge sull’aborto varata dal Mississippi. Secondo questa norma, l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere vietata dopo la 15esima settimana di gestazione. Un limite che si è scontrato più volte con le bocciature dei tribunali federali. Le autorità dello Stato meridionale, conservatore e religioso, si sono dunque rivolte alla più alta giurisdizione Usa, che dovrà valutare la legittimità della proposta legislativa e, nel caso, ribaltare la storica sentenza “Roe v. Wade” del 1973, che garantisce l’aborto a livello federale. Per la decisione finale bisognerà aspettare almeno il giugno 2022, ma la prima seduta, che si è conclusa nemmeno 24 ore fa, ha in parte confermato quanto temuto da molti: la maggioranza conservatrice della Corte Suprema non sembra contraria all’idea di restringere le libertà ottenute quasi 50 anni fa.

L’arringa difensiva – «Le precedenti decisioni prese in quest’aula in materia d’aborto non fanno parte delle nostre tradizioni né hanno fondamento nella Costituzione. Hanno semmai danneggiato il processo democratico, infestato il Paese, avvelenato la legge». Davanti alla più alta corte della magistratura federale degli Stati Uniti, il procuratore generale del Mississippi, Scott G. Stewart, ha così difeso a spada tratta la legge varata dal suo Stato, nell’ambito di un caso già diventato famoso come “Dobbs v. Jackson Women’s Health”. Il primo è il nome del capo del dipartimento della Salute del Mississippi, Thomas Dobbs, mentre il secondo fa riferimento all’unica clinica dello stato in cui si effettuano ancora servizi di interruzione di gravidanza. Secondo Stewart, la sentenza “Roe v. Wade” dovrebbe essere annullata completamente: una mossa che impedirebbe alle donne di abortire prima della vitalità fetale, attualmente entro la 23esima settimana. L’interruzione di gravidanza, a suo avviso, è una scelta che non può prescindere dal processo politico, considerato più importante del parere dei giudici. «L’aborto è una questione difficile», ha detto, «richiede il meglio da tutti noi, non un giudizio da pochi di noi».

Gli umori della Corte – Contrari alle restrizioni sono, come previsto, i tre giudici liberal della Corte, Stephen G. Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan, che hanno fatto intendere con chiarezza il loro pensiero. Ma altrettanto evidente, sostiene il New York Times, è stato l’atteggiamento favorevole dei sei giudici conservatori nei confronti di questa nuova legge. D’altra parte una sentenza che legittimi il divieto dell’aborto dopo la 15esima settimana, sostengono i tre magistrati liberal, minerebbe l’autorevolezza e la credibilità della Corte Suprema. Dietro questo timore si staglia l’ombra dell’ex presidente Donald Trump che, con la nomina di Amy Coney Barrett, nel 2020 cambiò gli equilibri dell’organo legislativo, conferendo maggior potere a giudici dell’area conservatrice. Per i membri liberal della Corte Suprema americana, calpestare la sentenza “Roe v. Wade” potrebbe essere vista come una scelta politica. «Questa istituzione sopravvivrà alla puzza che questa scelta creerà nella percezione pubblica, che vedrà la Costituzione e la sua lettura solo come atti politici?», si è chiesta Sotomayor. Inoltre, una deriva conservatrice richiederà una revisione delle leggi sull’aborto in 20 o più Stati. Un’ipotesi che avrebbe conseguenze rilevanti sul piano socio-culturale, esacerbando le tensioni che infiammano da tempo gli Stati Uniti.