Separare i bambini dalle loro famiglie e rinchiuderli in gabbia non è bastato. Così come non è bastato costringere i richiedenti asilo ad aspettare la conclusione delle loro pratiche in Messico creando situazioni di scontro e violenza nelle città di confine. Kristjen Nielsen, capo del Dipartimento per la sicurezza nazionale degli Stati uniti (Dhs), è stata costretta alle dimissioni: è l’undicesimo elemento di alto profilo dell’amministrazione licenziato da The Donald. Il motivo del suo ingresso nella lunga lista dei dimissionati dal presidente è quello di essere stata troppo morbida. La sua colpa è di non essere riuscita a chiudere i confini e a impedire ogni tipo di entrata illegale nel Paese come richiesto da Trump, un’azione vietata persino dalla costituzione.

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l’ex segretario alla sicurezza interna degli Stati Uniti Kristjen Nielsen

Le dimissioni – «Nonostante i progressi e le riforme di questa nuova era del Dhs, è il momento giusto per me per farmi da parte». Così si legge nella lettera di dimissioni che l’ormai ex segretario della sicurezza interna degli Stati Uniti ha presentato domenica 7 aprile. Voci di corridoio della Casa Bianca raccontano di sfuriate del presidente già lo scorso maggio in cui veniva sottolineata la «scarsa fermezza» della sua gestione. La reazione a questa discussione ha dato vita ad una delle pagine più buie della politica migratoria statunitense. La “riforma” per cui verrà certamente ricordata è quella che ha segnato la politica della tolleranza zero del presidente Trump: la separazione forzata delle famiglie così che ogni singolo individuo entrato illegalmente nel paese potesse essere processato individualmente. Molti minori, nel frattempo, venivano tenuti in gabbie spesso sovraffollate e diverse centinaia attendono ancora di essere riuniti alle loro famiglie mesi dopo la fine di questi provvedimenti dichiarati incostituzionali. Al tempo il segretario Nielsen aveva negato pubblicamente l’esistenza di questa pratica.

Il nuovo segretario alla sicurezza interna degli Stati Uniti Kevin McAleenan

«La nostra nazione è PIENA» – Sui prati davanti a molte case americane è già comparso un cartello che recita “Keep America Great – Trump 2020” (mantieni grande l’America): la campagna di rielezione del tycoon è iniziata. Ai suoi rallie (raduni-show negli stadi che ogni volta finiscono tutti esauriti)  riecheggia ancora lo slogan che lo ha fatto eleggere nel 2016: «Build that wall» (costruisci il muro). Ora che però il muro di metallo e cemento che il presidente sognava non si può fare (sia perché mancano i fondi sia perché la camera è a maggioranza democratica) serve un nuovo cavallo di battaglia sulle politiche migratorie che smuova gli animi del suo elettorato conservatore. È proprio per questo motivo che Kristjen Nielsen è stata costretta a dimettersi. L’obiettivo del presidente è arrivare al voto con un traguardo: aver fermato l’immigrazione clandestina. Al segretario per la SIcurezza nazionale è stato affidato il compito di materializzare quest’opera di propaganda anche se il fallimento era annunciato. Già domenica sera era pronto il rimpiazzo: sarà Kevin McAleenan ad occuparsi della gestione dell’immigrazione ferma e inflessibile che sogna il presidente.

Benvenuta nel club  Kristjen Nielsen ora fa compagnia a tutta una serie di personaggi licenziati dal presidente Trump perché, in sostanza, non hanno fatto quello che voleva. Il primo licenziamento di alto profilo è avvenuto addirittura 11 giorni dopo l’insediamento del governo, John Scaramucci è stato dimissionato dal suo incarico di direttore delle comunicazioni per uno sfogo violento contro il capo di gabinetto Reince Priebus (a sua volta licenziato a fine giugno). Poco più di un mese dopo è stata la volta del generale Michael Flynn per non aver informato il vice presidente dei suoi contatti con la Russia durante la campagna elettorale. L’ex amministratore delegato della Exxon Mobil, Rex Tillerson non è riuscito a tenersi la sua carica di segretario di Stato a causa delle sue posizioni sul Russiagate, una vicenda che ha fatto perdere il posto anche a James Comey ora ex direttore dell’Fbi. Una vita di rapporti d’affari e personali non sono stati sufficenti a salvare Paul Manafort (ex amministratore della campagna elettorale) e Michael Cohen (avvocato personale del signor Trump da più di 20 anni) trasformatisi nelle più importanti risorse della giustizia americana contro il presidente. Un altro collaboratore di lungo corso, lo stratega del suprematismo Steve Bannon, è stato sacrificato dal presidente per recuperare consensi dopo i disastri del Travel Ban, una misura che vietava ai cittadini di alcuni paesi musulmani considerati pericolosi di entrate negli Stati Uniti. Il 9 ottobre scorso è stato il turno di Nikki Haley, ambasciatrice degli Usa all’Onu ma i rapporti con il presidente si sono mantenuti affettuosi tant’è che lui l’ha definita “un’amica e una persona veramente speciale”. L’ultimo ad essersi dimesso prima del segretario per la sicurezza interna Kristjen Nielsen è stato il generale Jim Mattis, non condivideva la decisione del presidente (poi mai messa in atto) di ritirare le truppe dalla Siria.