.@JulioBorges: Sentencia del TSJ es un golpe de Estado https://t.co/41FkAAjRuh pic.twitter.com/JfGrAS3SHJ
— Unión Radio (@Unionradionet) 31 marzo 2017
In Venezuela non sarà più il Parlamento a fare le leggi. Dal 30 marzo il tribunale supremo di giustizia, l’istituzione legata a filo doppio con il presidente Nicolas Maduro, si è attribuito il potere legislativo togliendolo di fatto all’Assemblea Nazionale. Secondo Julio Borges si tratta di un colpo di stato. Il presidente della Camera ha strappato e poi lanciato in aria i fogli che esautorano lui e tutti gli altri deputati dalle loro funzioni. Poi ha continuato la protesta sui social definendo Maduro “Emperador de Venezuela”. Parte del Paese lo ha seguito, prima sul webe poi scendendo in stradasi è unita a lui. Per Maduro, che doveva essere processato per le violazioni dei diritti umani, le prospettive si sono capovolte: non solo si è salvato ma ha più potere. Per governare, non gli serve più il controllo parlamentare.
Il tribunale – Non è la prima volta che il tribunale interviene in soccorso del presidente. Prima di questa sentenza, i giudici – nominati da Maduro dopo la disfatta alle legislative del 2015 – hanno affossato la richiesta di un referendum per la revoca del presidente e la sua messa in stato d’accusa che era stata votata dalla maggioranza dei deputati. Inoltre hanno bocciato innumerevoli proposte del Parlamento. L’ultima riguarda il petrolio: i deputati avevano rivendicato il diritto all’ultima parola sulla creazione delle joint ventures. Il tribunale li ha fermati, prima con l’accusa formale per frode fiscale, poi con la sentenza che ne cancella definitivamente i poteri. L’ultima decisione dei giudici, però, è anche una risposta all’Organizzazione degli Stati Americani che, interpellati dall’opposizione, avevano minacciato di espellere il Venezuela se non fossero state convocate a breve nuove elezioni. Ora, per tornare alle urne bisognerà aspettare. Quanto non si sa. Sarà Maduro a deciderlo.
Maduro – Il presidente Venezuelano, scelto da Hugo Chavez alla sua successione nel Marzo 2013, ha acclamato la sentenza storica che gli permetterà di «difendere le istituzioni, la pace e respingere qualsiasi aggressione». L’accusa formale che Maduro fa al Parlamento è infatti quella di «tradire la patria» e di essere pedine di un complotto internazionale guidato dall’imperialismo americano finalizzato alla sua destituzione. In realtà Maduro teme il potere crescente dell’opposizione che negli ultimi anni gli rimprovera le aggressioni fisiche ai deputati, la prigionia arbitraria dei presunti dissidenti e una gestione fraudolenta delle risorse del Venezuela.
La situazione – Fino a pochi anni fa il paese era uno dei più ricchi dell’America Latina. Un ingente piano di investimenti promosso da Chavez nei settori dell’edilizia, della sanità e del sociale aveva abbassato il tasso a disoccupazione dal 14% al 7% e aumentato la ricchezza del cittadino medio che era passato da un reddito di quattromila a diecimila dollari. Dal 2016 invece vige lo stato di emergenza. Secondo un sondaggio condotto da tre università del paese, l’81% della popolazione vive in condizione di povertà. Le persone fanno file di ore di fronte ai supermercati dove mancano i beni di prima necessità e ogni prodotto ha un prezzo esorbitante a causa dell’inflazione all’ 800%. Gli ospedali hanno meno del 5% dei medicinali di cui avrebbero bisogno, tant’è che lo stesso Maduro ha chiesto alle Nazioni Unite di farsi carico della distribuzione dei farmaci nel paese. Il motivo di questo cambiamento va ricercato nella crisi economica che ha colpito il paese con il crollo del prezzo del petrolio. L’oro nero corrispondeva infatti a circa il 90% delle entrate in valuta e, insieme al debito pubblico, era la maggiore fonte di investimento per le misiones, gli investimenti sociali per cui ora mancano i soldi. A questo problema, si aggiungono poi una spesa pubblica fuori controllo, le restrizioni ai movimenti di capitale e l’inefficienza di molte imprese seguita alla nazionalizzazione.
I prossimi passi dell’ opposizione – Il vicepresidente dell’Assemblea nazionale Freddy Guevara non si arrende di fronte alla sentenza. «Il nostro è un popolo che non si arrende, la ragione è dalla nostra parte. Ma per svegliarci dal letargo dobbiamo coinvolgere tutta la popolazione. La dittatura non otterrà mai l’obbedienza». Molti dei suoi concittadini sono già scesi in piazza, per l’ennesima manifestazione. Insieme a loro c’era anche Julio Borges, fuori dal tribunale che lo ha esautorato. «Questa è una sentenza per evitare il controllo delle imprese petrolifere, per continuare con la corruzione ed è incostituzionale», ha dichiarato. «Giudici, state commettendo un crimine contro l’umanità». Il Perù ha condannato la “fine della democrazia in Venezuela” e ha ritirato l’ambasciatore.