Juan Guaidò torna in piazza e sfida Maduro. L’autoproclamatosi presidente ad interim del Venezuela ha rilasciato nella notte tra domenica 3 e lunedì 4 marzo (ora italiana) un video sulla propria pagina Facebook per annunciare che alle ore 11 locali di lunedì ci sarà una nuova manifestazione «contro l’usurpatore». Guaidò e la moglie Fabiana Rosales rientrano così in patria dall’Ecuador, al termine un tour di 10 giorni realizzato in altri Paesi del Sudamerica per ottenere sostegno nella lotta contro Maduro. La protesta principale sarà alle 16 italiane a Caracas, in Plaza Alfredo Sadel nel quartiere de Las Mercedes.

Appello ai militari – Una manifestazione che il presidente autoproclamato prova a espandere anche ai militari: «Rivolgo un appello alle forze armate a seguire l’esempio di chi lo ha già fatto e ad unirsi al processo in corso». Riuscire a portare l’esercito dalla propria parte sarebbe fondamentale per far sì che il tentativo del leader del partito di opposizione Primera Justicia vada in porto. Ieri, domenica 3 marzo, in un’intervista al Fatto Quotidiano, Guaidò aveva affermato che le Forze armate «sono state protagoniste in tutti questi anni di episodi di uccisioni, tortura e repressione ed è impensabile che un regime che continua a violare i diritti umani possa rimanere impunito di fronte alle accuse internazionali. Maduro sta tentando in tutti i modi di evitare lo smembramento dell’esercito per mantenere il potere». In merito alla possibilità di garantire un’amnistia a chi collaborerà, Guaidò aveva detto che «la porta è aperta per chiunque voglia partecipare attivamente alla transizione».

Il sostegno degli Stati sudamericani – L’uscita pubblica per le strade della capitale potrebbe essere molto pericolosa per il presidente autoproclamato. Un rischio che, però, sembra essere calcolato e inevitabile per Guaidò. Nel video con cui ha annunciato il proprio ritorno ha detto che «l’unico modo per favorire il regime è fermare le manifestazioni. Ovvio che ci sono dei rischi. Ma se ci sequestrano questo sarà uno degli ultimi errori del regime». «Se Maduro e i suoi complici osassero cercare di bloccarmi – ha aggiunto Guaidò – ci sarà una risposta chiara, con precise istruzioni che adotteranno i nostri alleati internazionali e compagni in Parlamento». Brasile, Ecuador e Argentina (Paesi che sono stati parte del suo tour n.d.r) sono, secondo quanto riportato da Guaidò, dalla sua parte.

La posizione degli Usa – Anche gli Stati Uniti stanno lavorando attivamente per favorire la transizione del potere nelle mani di Guaidò. Nella giornata di ieri il Consigliere per la Sicurezza nazionale americano, John Bolton, si è espresso sul tema. Alla CNN Bolton ha affermato che gli Usa stanno «cercando di riunire appoggio per la transizione pacifica del potere da Maduro a Guaidò». A riguardo, Bolton ha anche aggiunto che nell’amministrazione Trump «non si ha paura di usare la frase “Dottrina Monroe”», facendo riferimento alla teoria elaborata dal quinto presidente degli Stati Uniti James Monroe, in cui si sostiene la supremazia statunitense nell’intero continente americano.

Un’altra vittima al confine – Salgono a sette i morti confermati tra gli indigeni Pemon per il respingimento violento degli aiuti internazionali avvenuto a Gran Sabana, sulla frontiera con il Brasile, il 23 febbraio scorso. A diffondere la notizia è stata la ong venezuelana Foro Penal, tramite l’account Twitter del suo direttore Alfredo Romero. La vittima si chiamava John Gonzalez, aveva 40 anni ed è morto a causa delle ferite da arma da fuoco riportate durante gli scontri. L’uomo era ricoverato in Brasile, nell’ospedale di Boa Vista, dove era stato portato d’urgenza dieci giorni fa. Secondo il sindaco di Gran Sabana, Emilio Gonzalez,  i morti in realtà sarebbero venticinque.