Juan Guaidó invoca l’unità e la compattezza del popolo venezuelano, oltre alla solidarietà della comunità internazionale, con un appello apparso oggi, 31 gennaio, sul New York Times. Nonostante ieri la Corte Suprema del Venezuela, strettamente condizionata dal potere politico di Nicolas Maduro, abbia bloccato i suoi beni e conti bancari e gli abbia imposto un divieto di espatrio all’estero, il giovane leader di Voluntad Popular, il partito più attivo nell’opposizione al regime del Paese, continua la sua lotta. Le sortite e i comizi nelle manifestazioni di protesta sparse per Caracas sono ora più dosati, come accaduto ieri nell’università UCV (Università Centrale del Venezuela), attorniato da studenti di medicina vestiti col camice bianco. L’attuale necessità è quella di esporsi il meno possibile per evitare di essere incriminato o arrestato.

La richiesta di unità – «Il tempo del signor Maduro sta scadendo, ma per riuscire a gestire la sua uscita con il minimo di spargimento di sangue, tutto il Venezuela deve unirsi per spingere definitivamente al suo regime – ha affermato con forza Guaidó – per questo, abbiamo bisogno del sostegno di governi, istituzioni e individui pro-democratici in tutto il mondo». Il concetto e il bisogno di un’opposizione unita contro il regime di Maduro, a livello sia nazionale che internazionale, sono stati sottolineati a più riprese, richiamando la forte identità storica del Venezuela, in grado di «battersi sempre per la libertà», dalla sua indipendenza fino alle lotte contro il referendum del 2007 per la deriva totalitarista di Hugo Chavez, passando per la sconfitta della dittatura di Marcos Perez Jimenez negli anni Cinquanta. Una storia collettiva che Guaidó ha incrociato con la propria, rievocando le sue battaglie giovanili, il suo ferimento in alcuni scontri di piazza nel 2017 e la cattura di Leopoldo Lopez, fondatore del suo partito e mentore politico. Quasi un’autolegittimazione della sua attuale posizione e della strategia che sta portando avanti: «Abbiamo elaborato tre punti strategici di accordo come parte della nostra road map per la democrazia: la fine dell’usurpazione, un governo di transizione ed elezioni libere». Come evidenziato già nei giorni scorsi, un ruolo chiave è rivestito dall’esercito, con cui Guaidó ha ammesso di aver allacciato contatti: «Abbiamo avuto incontri clandestini con membri delle forze armate e delle forze di sicurezza. Abbiamo offerto l’amnistia a tutti coloro che non sono stati riconosciuti colpevoli di crimini contro l’umanità». Un altro punto focale del suo intervento ha riguardato la perdita di ogni consenso di Maduro presso le fasce di popolazioni dei quartieri più poveri, in passato decisive per il rafforzamento del suo potere.

Nessun colpo di Stato – Guaidó non ha mancato di rivendicare quanto fatto lo scorso 23 gennaio, l’atto scatenante dell’intera situazione, ossia l’autoproclamazione come presidente ad interim del Venezuela. Non un tentativo di golpe, ma un gesto giustificato: «Dall’articolo 233 della Costituzione venezuelana, secondo il quale, se all’inizio di un nuovo termine non c’è nessun capo di stato eletto, il potere spetta al presidente dell’Assemblea nazionale fino al libero e trasparente svolgimento delle elezioni». Un passo reso necessario dall’illegittimità delle elezioni del 20 maggio 2018 e dall’usurpazione del ruolo di presidente che Maduro sta portando avanti, essendosi teoricamente chiuso il suo originario mandato di sei anni lo scorso 10 gennaio. Il capo di Voluntad Popular può inoltre vantare un largo sostegno dalle maggiori potenze estere, rafforzatosi ulteriormente nelle ultime ore con nuove dichiarazioni d’apertura di Donald Trump, che ha confermato anche di avere avuto contatti telefonici d’incoraggiamento con lo stesso Guaidó. La posizione americana è confermata anche sul piano d’azione economico, con le sanzioni annunciate che non consentiranno a Maduro di usufruire delle somme ingenti sempre ricavate dalla vendita di petrolio. Una mossa che, al tempo stesso, rischia di aggravare ancora la situazione civile del Paese.

Sabato una possibile svolta? – In un messaggio televisivo della scorsa settimana, Guaidó aveva convocato due importanti manifestazioni collettive di protesta. La prima si è tenuta ieri, con i cittadini venezuelani che hanno chiesto, attraverso dei messaggi scritti su fogli di carta, lo sblocco degli aiuti umanitari bloccati dal regime. La seconda dovrebbe tenersi invece sabato, 2 febbraio, al termine dell’ultimatum con cui le maggiori potenze europee avevano intimato a Maduro di indire nuove elezioni, salvo poi riconoscere ufficialmente, in caso contrario, la presidenza ad interim di Juan Guaidó.