Dalla ricchezza all’iperinflazione. La  crisi venezuelana, che ha portato il 52 per cento della popolazione a vivere in condizioni di estrema povertà, incomincia alla fine degli anni novanta, proprio nel periodo in cui il Pil continuava a crescere e le disuguaglianze interne sembravano assottigliarsi. Il default di Caracas è legato alla gestione di quella stessa fonte di ricchezza, il petrolio, che negli anni 70 rendeva il Venezuela una delle regioni più ricche al mondo.  A ciò si affiancano anche anni di politiche economiche incapaci a frenare l’inflazione.

Chavez e il dio petrolio – Il capo del Partito Socialista Unito, Hugo Chavez, sale al potere nel 1999. Convinto sostenitore della dottrina marxista, Chavez decide di sfruttare le risorse petrolifere del Paese andino per redistribuire la ricchezza. Nazionalizza le principali industrie e avvia una politica volta a reinvestire i proventi derivanti dall’esportazione del petrolio in sussidi sociali: più investimenti nell’istruzione, nelle comunità rurali, nelle infrastrutture, nella sanità pubblica; più sussidi agli agricoltori, specie a quelli appartenenti alle minoranze etniche, da sempre diseredati. Il prezzo del petrolio continua a salire e nel 2008 raggiunge un picco massimo di 147 dollari a barile. L’economia non viene diversificata e nel 2013 il greggio arriva a rappresentare il 96 per cento delle esportazioni a fronte del 68 per cento del 1999, ma il suo costo incomincia a diminuire.

La politica interna di Maduro – Chavez muore il 5 maggio del 2013, quando per il crollo dei prezzi del greggio l’economia venezuelana incomincia a vacillare. Il leader del Partito Socialista Unito designa come suo successore Nicolas Maduro. Tra il 2014 e il 2015 i prezzi del greggio crollano da 120-140 dollari al barile a 50. Le entrate dello Stato si dimezzano. La riduzione degli introiti derivanti dall’oro nero può essere considerata il fattore scatenante del tracollo finanziario. Ma non l’unica causa di un default che, oramai, ha inghiottito completamente il Paese. A peggiorare la situazione venezuelana è intervenuta la politica di Maduro. Per ovviare alla crisi, il governo ha incominciato a stampare moneta senza sosta favorendo, in questo modo, una svalutazione costante del denaro. Così, per porre fine all’inflazione, Maduro decide di bloccare i pezzi, provocando il fallimento di migliaia di aziende private. Poi, a inizio 2018, altri provvedimenti che squassano l’economia: l’incremento dei salari minimi e gli aumenti dell’iva e del prezzo della benzina e la sostituzione del Bolivar forte con il Bolivar sovrano ancorato al Petro, la nuova moneta virtuale dipendente dalle riserve petrolifere.

Le sanzioni americane – C’è però anche un altro fattore che ha contribuito alla recessione economica venezuelana. Nel 2015 il Congresso americano, opponendosi alla politica di Maduro, ha predisposto nei confronti del Paese delle sanzioni economiche, che sono state poi rinnovate nel 2017. L’amministrazione Usa ha vietato alle aziende e alle istituzioni finanziarie statunitensi di acquistare azioni e obbligazioni emesse dalle società pubbliche del paese latino americano, in particolare dalla compagnia petrolifera statale Petróleos de Venezuela e dal governo di Caracas. Ciò ha comportato un ulteriore contrazione nell’economia venezuelana e un nuovo problema per il governo di Maduro.

I disordini – Ai problemi economici si sono affiancati a partire dal 2014 le continue manifestazioni di rivolta contro la politica del presidente. Nelle elezioni del 2015 l’Assemblea costituente, che ha il potere legislativo, diventa di fatto governata dalle opposizioni. Incomincia una guerra interna alla stessa amministrazione statale: nel 2017 Maduro proclama una nuova Assemblea costituente, composta prevalentemente da esponenti leali al governo e incaricata di riscrivere la Costituzione. Il popolo continua a manifestare e il numero di morti cresce inesorabilmente. Iniziano le migrazioni. I dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) parlano di 52mila venezuelani che tra gennaio e luglio 2017 hanno fatto richiesta di asilo in un paese straniero, il doppio rispetto al 2016.