L’Australia è il primo Paese a riconoscere ufficialmente Juan Guaidó, leader dell’Assemblea Nazionale del Venezuela, autoproclamatosi presidente ad interim dello Stato sudamericano. Dopo lo scossone avvenuto nella giornata di mercoledì 23 gennaio, si stanno componendo le alleanze antagoniste nello scacchiere mondiale. Se la posizione dell’Australia si affianca a quelle degli Stati Uniti, del Canada e delle maggiori potenze europee, il presidente in carica Nicolas Maduro, di fatto esautorato dal gesto del rivale, può contare ancora sull’appoggio di forze importanti quali Russia e Turchia, nonché di un’ampia fetta del proprio esercito.
Le posizioni pro-Guaidó – Il sostegno dell’Australia nei confronti di Guaidó è stato reso noto dall’emittente televisiva pubblica Acb, che ha diffuso una nota della ministra degli Esteri Marise Payne: «L’Australia auspica una transizione alla democrazia in Venezuela il più presto possibile – ha dichiarato l’esponente di governo nel presentare il proprio appoggio a Guaidó fino alle prossime elezioni – chiediamo ora a tutte le parti in causa di lavorare costruttivamente ad una soluzione pacifica della situazione che preveda un ritorno alla democrazia, il rispetto dello stato di diritto e la difesa dei diritti umani del popolo venezuelano». Ma come si stanno muovendo le altri parti in causa citate dalla Payne? In Europa, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, sabato 26 gennaio, hanno preso posizione al fianco del nuovo leader, ma subordinando il suo riconoscimento ufficiale alla possibilità che Maduro indica nuove elezioni entro otto giorni. Una pista che è stata smentita con forza dal successore di Hugo Chavez attraverso il suo ministro degli Esteri Jorge Arreaza, presente alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu tenutasi, sempre lo scorso sabato, a New York. Le posizioni degli Stati europei sono state assunte singolarmente e non concordate con l’Unione Europea, il cui Alto responsabile per gli affari esteri, Federica Mogherini, è rimasta più sul vago, non parlando della possibilità di riconoscimento per Guaidó e nemmeno provando a stabilire un tetto massimo di tempo entro cui aspettarsi nuove elezioni. Per quanto riguarda gli equilibri dell’intero continente americano, Donald Trump con un tweet ha subito fornito il proprio appoggio al nuovo ordine. Sulla sua scia si sono mossi anche il Canada e la maggioranza dei governi centro-sudamericani (Argentina, Brasile, Perù, Ecuador, Costa Rica, Paraguay e Messico).
Il ruolo dell’esercito – Guaidó, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano francese Le Figaro, ha ringraziato Emmanuel Macron, Angela Merkel e Pedro Sanchez «non solo a titolo personale, ma a nome di tutti i venezuelani». Oltre a tessere trame fuori dai confini nazionali, il giovane leader sta tentando di coinvolgere larghi strati della popolazione. In un messaggio televisivo trasmesso sulla televisione nazionale, ha chiamato a raccolta il popolo per due grandi manifestazioni: la prima dovrebbe tenersi mercoledì 30 gennaio, mentre la seconda, la più roboante, sabato 2 febbraio, giorno in cui dovrebbe scadere l’ultimatum imposto dai Paesi europei a Maduro per organizzare nuove elezioni. Quest’ultimo sta dipingendo le prese di posizione estere come delle pericolose ingerenze per l’autonomia del Venezuela e, per rafforzare il proprio potere, sta tentando di mantenere la sua influenza sull’esercito. Ieri, 27 gennaio, si è fatto ritrarre in una foto, diffusa dall’agenzia Miraflores Press, nella quale stava coordinando un’esercitazione militare a Caracas. Contemporaneamente, anche lo stesso Guaidó sta lavorando alla possibilità di portare l’esercito dalla sua parte, distribuendo volantini nei quali promette una futura amnistia a tutti coloro che, nell’immediato, ritireranno il proprio appoggio a Maduro.
L’ambiguità italiana – La situazione venezuelana ha rappresentato un altro fronte di tensione nella coalizione di governo giallo-verde. Se la Lega, nelle parole del suo leader Matteo Salvini, ha caldeggiato nuove elezioni e l’urgenza di porre fine al governo di Maduro, il Movimento 5 Stelle è subito sembrato più propenso a schierarsi a sostegno della causa del presidente delegittimato. A dettare legge tra i grillini sono, in particolar modo, le parole di Alessandro Di Battista, che ha celebrato Putin in un suo post su Facebook come tutore dell’ordine venezuelano, indispensabile per evitare un intervento militare degli Stati Uniti. Dichiarazioni inequivocabili che riscuotono consenso nella base del movimento, ma che, stando alle voci circolanti, hanno indispettito il premier Giuseppe Conte, che vorrebbe assumere una posizione coerente nel panorama europeo.