Gas, proiettili di gomma, getti d’acqua violenti. Le strade di Caracas, durante la festa dei lavoratori del primo maggio, sembravano lo scenario di una guerriglia urbana. Da una parte i militari che appoggiano il governo di Maduro. Dall’altra, i manifestanti che si oppongono a quello che l’opposizione ha chiamato un «golpe strisciante».

La scintilla è stata il discorso al popolo del presidente Nicolas Maduro, il successore di Hugo Chavez, che ha annunciato: «Un’Assemblea Costituente per riformare la struttura giuridica dello Stato». Una riforma che dal punto di vista delle opposizioni, sembra un tentativo di colpo di Stato. «Non sto parlando di una Costituente dei partiti o delle élite, intendo dire una Costituente femminista, giovanile, studentesca, una Costituente indigena, ma anzitutto una Costituente profondamente operaia, decisamente operaia, che appartenga profondamente alle comune», ha precisato Maduro.

Mentre in tutto il Paese erano in corso le marce dei lavoratori, a Caracas i manifestanti protestavano contro il governo chavista. Dopo l’annuncio del presidente Maduro, le manifestazioni di protesta si sono intensificate e con queste le repressioni: nella capitale 37 persone sono rimaste ferite negli scontri con l’esercito. Sui social network e online sono apparse testimonianze dell’intervento delle forze dell’ordine nelle zone ovest della città. La polizia ha presidiato gran parte dei quartieri con posti di blocco, mentre le autorità decretavano la chiusura di 30 stazioni della metropolitana. Il percorso della marcia di protesta nella capitale si è concluso accanto alla sede della Corte Suprema e del Consiglio Nazionale Elettorale (Cne).

Le opposizioni parlano di un evidente tentativo di colpo di Stato:«È una Costituente truffa, inventata solo per distruggere quella attuale e cercare di fuggire all’inesorabile verdetto delle elezioni», ha affermato Julio Borges, presidente del Parlamento, attualmente in mano all’opposizione. Il deputato ha quindi chiesto alle Forze Armate e alle altre istituzioni, tra cui il procuratore nazionale e i magistrati, di pronunciarsi contro il nuovo provvedimento, «per impedire il golpe». Il sospetto infatti, già da alcuni mesi, è che il governo chavista voglia in tutti i modi evitare il consulto popolare, che rischierebbe di consegnare il governo alle opposizioni.

Da quando ha perso il controllo del Parlamento, nel dicembre 2015, il governo chavista ha dovuto affrontare proteste popolari sempre più radicali. Nell’aprile scorso un’ondata di proteste antigovernative, rese più violente dall’inflazione galoppante – che ha superato il 500% – e dalla mancanza di viveri nei supermercati, hanno investito il Governo e portato alla morte di almeno 30 manifestanti.

Il presidente Maduro, da parte sua, ha definito la nuova assemblea costituente uno strumento per ritrovare la perduta pace sociale nel Paese e per permettere al «popolo con la sua sovranità» di farlo, evocando lo spettro di «colpo di Stato fascista». Maduro, con l’annuncio della nuova costituente, ha anche varato il terzo aumento del salario minimo di quest’anno. Un incremento del 60% a lavoratori statali e pensionati e del bonus alimentare. Henrique Capriles, ex candidato alle presidenziali, ha risposto invitando a «disobbedire a una simile follia», che rafforzerebbe il già esistente colpo di stato e aggraverebbe la crisi. La Tavola dell’Unità Democratica (Mud), che riunisce le opposizioni al Governo, si riunirà oggi per pianificare una strategia contro quello che definisce «il golpe di Stato più grave della storia del Venezuela”, e intanto convoca nuove proteste di piazza a partire da oggi, che continueranno nei prossimi giorni.

Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Perù, Paraguay e Uruguay hanno sottoscritto un appello comune, associandosi alle parole di papa Francesco, che chiede «soluzioni negoziate» per la crisi politica e istituzionale in corso nel paese. Ma gli otto paesi del Sud America non danno carta bianca al Governo venezuelano, precisando che l’accordo sarà possibile solo ad alcune condizioni: «che cessi la violenza, si ripristini la piena funzionalità dello Stato di diritto, si liberino i prigionieri politici, si restituiscano le prerogative dell’Assemblea Nazionale e si definisca un calendario elettorale».