Il 23 febbraio la situazione venezuelana potrebbe arrivare a un punto di rottura. Quel giorno è atteso un convoglio umanitario dalla Colombia ma  Nicolas Maduro ha annunciato che manderà i soldati a bloccare il carico, affermando che il Venezuela non ha bisogno di aiuti e che si tratta solo di una provocazione americana. Accuse agli Usa arrivano anche dalla Russia: «Organizzano un colpo di Stato». La crisi arriva ad un mese esatto da quando il 23 gennaio Juan Guaidò, capo dell’Assemblea nazionale, si è proclamato presidente ad interim in attesa di nuove elezioni, disconoscendo il rivale Maduro, vincitore delle contestate presidenziali dello scorso anno.

Mosca attacca:«Si prepara un golpe» – Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha accusato gli Stati Uniti di star organizzando un colpo di Stato militare. Il convoglio di aiuti umanitari in arrivo dalla Colombia nei prossimi giorni sarebbe, sostiene la Russia, una trappola per far rivoltare le forze armate contro Maduro. Anche da Cuba si alzano voci riguardo movimenti di forze speciali statunitensi nell’area caraibica. Certo è che il convoglio umanitario mette i militari venezuelani davanti a una scelta. Da una parte l’erede di Chavez nega che servano aiuti, affermando che il Paese è pronto per un «grande salto produttivo» e pertanto rifiuta quello che chiama «le loro briciole, il loro cibo tossico, i loro avanzi (degli Stati Uniti ndr)». Dall’altra Guaidò, insieme ad altre personalità in patria e all’estero, ha invitato pubblicamente l’esercito a disobbedire agli ordini e a lasciar entrare il convoglio. Sullo sfondo i cittadini venezuelani, che nonostante le parole di Maduro soffrono per la gravissima crisi economica che ha portato alla iperinflazione e alla mancanza di cibo e medicinali.

La lettera del Papa al «signor Maduro» – Intanto il chavista perde un appoggio diplomatico importante. Il 7 febbraio Papa Francesco, secondo indiscrezioni dei media, ha inviato una lettera privata a Maduro, ricordandogli i molti inviti al dialogo della Santa Sede caduti nel vuoto. L’ultimo il primo dicembre, quando il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, aveva chiesto la liberazione dei prigionieri politici, l’apertura di un canale umanitario, nuove elezioni e riconoscimento del Parlamento come presupposti per un incontro tra le parti mediato dal Vaticano. Significativo che la lettera si rivolga al «signor Maduro», un’implicita mancanza di riconoscimento della sua carica di presidente del Venezuela. Il governo di Caracas sembra perdere un potenziale alleato che, pur non schierandosi dalla sua parte, aveva finora spinto per una soluzione diplomatica della crisi e per un accordo pacifico.

Italia: sì a nuove elezioni – Intanto martedì il Parlamento italiano si è impegnato a «sostenere gli sforzi diplomatici, anche attraverso la partecipazione a fori multilaterali, al fine di procedere, nei tempi più rapidi, alla convocazione di nuove elezioni presidenziali che siano libere credibili e in conformità con l’ordinamento costituzionale». La mozione è stata proposta insieme da Lega e 5 Stelle, finora su posizioni opposte. L’Italia esce quindi dalla neutralità sulla crisi venezuelana e si schiera implicitamente dalla parte di Guaidò. Il capo dell’Assemblea nazionale afferma di essere presidente solo per portare il Paese sudamericano a nuove elezioni, rifiutate invece da Maduro che proclama la legittimità di quelle vinte lo scorso anno. Non sono soddisfatte invece le opposizioni italiane, che accusano il governo di non aver davvero preso una posizione, visto che nella mozione non si riconosce esplicitamente Guaidò come legittimo presidente del Venezuela, come invece hanno fatto gli Stati Uniti, il Parlamento europeo e i principali alleati europei. Guaidò ha comunque ringraziato l’Italia per l’appoggio a nuove elezioni, dopo che il lunedì prima aveva espresso «profondo sconcerto» per la neutralità del governo, che di fatto finiva per essere dalla parte di Maduro. Il 31 gennaio i parlamentari europei di Lega e 5 Stelle si erano astenuti nel voto a favore di Guaidò e il giorno dopo l’Italia aveva messo il veto a un sostegno ufficiale dell’Unione all’autoproclamato presidente.