Quando Juan Guaidò ha tentato la spallata finale a Nicolás Maduro, martedì 30 aprile, sostenendo di avere il sostegno dell’esercito, forse pensava di avere dalla sua anche parte del governo avversario. Ministri e alte cariche si erano incontrati con l’opposizione per concordare un cambio di regime pacifico, afferma uno scoop del Wall Street Journal. I colloqui tra gli alleati del capo del Parlamento Guaidò, autoproclamatosi presidente il 23 gennaio, e diversi membri delle istituzioni sarebbero andati avanti per mesi ed erano arrivati, sostiene il giornale statunitense, a un accordo che prevedeva garanzie di immunità per gli alti gradi dell’esercito, un’uscita di scena dignitosa e in libertà per Maduro e la presidenza a Guaidò per organizzare nuove elezioni. Qualcosa però non ha funzionato e ora in Venezuela è scontro aperto fra governo e opposizione. I feriti da entrambe le parti sono decine, tra cui anche molti minorenni, e i morti per ora sarebbero due, entrambi civili in piazza a manifestare per Guaidò.

Dialogo fallito – A incontrarsi con Guaidò sarebbero stati il ministro della Difesa Vladimir Padrino, il capo della Corte suprema Maikel Moreno e il generale Iván Rafael Hernández, capo della guardia presidenziale e responsabile dei servizi di intelligence militare. I nomi sono stati rivelati da fonti interne vicine all’opposizione e da fonti diplomatiche statunitensi. L’averli diffusi apertamente potrebbe significare diverse cose. Da una parte potrebbe essere un tentativo di costringerli a passare dalla parte di Guaidò come promesso, esponendoli come traditori del governo Maduro. Dall’altra potrebbe essere in buona parte una montatura con lo scopo di indebolire la coesione interna delle istituzioni di Caracas, che per ora si sono dimostrate molto compatte e strette attorno alla presidenza ufficiale. Una terza opzione è che l’apertura al dialogo da parte di ministri in realtà fedeli a Maduro fosse una trappola per spingere l’opposizione a forzare la mano credendosi più forte di quanto fosse.

Operación Libertad – Martedì 30 aprile Guaidò ha lanciato la “Operazione libertà”, un tentativo estremo di far cadere il governo. Il leader dell’opposizione ha pubblicato un video dove, circondato da soldati, affermava che le forze armate erano passate dalla sua parte e invitava la popolazione ad unirsi a lui nella sollevazione. Con grande sorpresa al suo fianco c’era Leopoldo Lòpez, altro importante esponente delll’opposizione che era stato incarcerato diverse volte e fino a lunedì era agli arresti domiciliari. La sua liberazione,forse per opera di poliziotti, era in contrasto con le precedenti sentenze dei tribunali venezuelani ed è stato interpretato come un segnale che effettivamente una parte delle forze di sicurezza e forze armate del Paese si erano schierata con Guaidò. A quanto pare però non è stato sufficiente e dopo due giornate di violenti scontri per le strade la situazione è in stallo.

Situazione bloccata – Guaidò annuncia di non volersi arrendere finché il governo di Maduro, definito un “usurpatore”, non si dimetterà permettendo nuove elezioni democratiche. Il piano dell’opposizione ora è coinvolgere i lavoratori, specialmente quelli della pubblica amministrazione, in una serie di scioperi sempre più frequenti e duraturi fino a paralizzare il Paese. Dal canto suo Maduro, con il quale si sono schierati buona parte dell’esercito e tutti i ministri e anche una imponente manifestazione popolare sotto il palazzo presidenziale, ha già proclamato «la sconfitta della destra golpista» che «voleva portare il Paese alla guerra civile». Il fatto che Guaidò sia ancora in libertà dimostrerebbe che Maduro non ha però il pieno controllo del Paese, mentre la richiesta di asilo di Lopez all’ambasciata spagnola testimonia una certa inquietudine anche nelle forze di Guaidò.

Ritorno alla guerra fredda – Allo scontro politico interno al Venezuela si aggiunge quello diplomatico tra Stati Uniti e Russia. L’amministrazione di Donald Trump si è schierata fin dall’inizio con Guaidò, ergendosi a capofila dei Paesi che hanno riconosciuto il presidente del Parlamento venezuelano come legittimo presidente e dichiarandosi pronta a sostenerlo con ogni mezzo. Al contrario la Russia di Vladimir Putin è la principale sostenitrice della presidenza Maduro, cui ha fornito negli ultimi anni diversi aiuti economici. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo nello stesso giorno della sollevazione di Guadò ha ammesso che quella militare è tra le opzioni considerate possibili a Washington «per restaurare la democrazia», anche se preferirebbero una transizione pacifica. A queste parole il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov ha replicato minacciando gravissime conseguenze per quella che al Cremlino considerano «una violazione flagrante del diritto internazionale». Da parte loro gli Stati Uniti sono convinti che Maduro fosse a un passo dal cedere il potere in maniera pacifica e partire per l’esilio, prima che i consiglieri russi lo convincessero a resistere. Per quanto riguarda Cuba, altra stretta alleata di Caracas, il presidente Trump ha ventilato un nuovo embargo totale sull’isola e una serie di altre sanzioni se non verranno ritirate immediatamente «truppe e le milizie cubane». In Italia intanto il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi si è detto completamente contrario ad un intervento militare, ma sostiene nuove elezioni presidenziali purché nascano da un accordo tra le parti.