L’Isis entra ufficialmente nel conflitto israelo-palestinese. E il Medio Oriente torna ad infiammarsi. Tra il pomeriggio dell’8 febbraio e la mattinata del 9, tre attacchi da entrambe le parti hanno riportato i venti di guerra nell’area israeliana. Il primo attacco a nord, sulle alture del Golan, con uno scambio di colpi tra forze ebraiche e l’esercito siriano fedele ad Assad. Poche ore più tardi, l’Isis ha lanciato tre razzi dal territorio egiziano contro la cittadina di Eilat, lo sbocco di Israele sul Mar Rosso. Infine nelle prime ore del 9 febbraio, la risposta di Israele, con un raid sulla striscia di Gaza, smentito poco dopo. Il bilancio finora è di due morti e cinque feriti.
Siria, Isis, Hamas: un intreccio pericoloso Ancora non è chiaro se gli avvenimenti siano legati tra loro. Le forze armate di Israele hanno negato di aver compiuto il raid sulla striscia di Gaza, mentre il botta e risposta sul Golan potrebbe essere una normale schermaglia in un territorio ufficialmente in guerra dal 1967 (le alture sono formalmente siriane, ma Israele vi si è insidiato dalla guerra dei sei giorni).
Ma ciò che aumenta la preoccupazione nella regione è l’entrata dell’Isis nel conflitto storico. Il Califfato ha usato le postazioni del gruppo Ansar Bait al-Maqdis nel Sinai egiziano, per colpire lo stato ebraico nella cittadina di Eilat. L’attacco è andato a vuoto grazie al sistema di protezione “Iron Dome”, che intercetta i missili da fuori confine e li fa brillare in aria.
L””Iron Dome”, o “Cupola di Ferro”, è un sistema di radar che individua i razzi e lancia l’allarme alla popolazione che può mettersi al riparo nei rifugi ed è usato da anni in Israele per intercettare i missili di Hamas.
E proprio contro Hamas potrebbe essere stata rivolta la risposta di Israele in un raid notturno nella striscia di Gaza. L’obiettivo sarebbe stato di eliminare alcuni guerriglieri palestinesi, ma l’attacco è stato smentito dalle autorità. Resta però il giallo dei morti: 2 persone hanno perso la vita e cinque sono ferite.
Il voto della Knesset e l’incognita Trump – Le violenze di queste ore si susseguono a una settimana particolarmente delicata. Lunedì 6 febbraio, il Parlamento di Israele ha rafforzato la sua linea sui territori occupati in Palestina, dichiarando legale l’esistenza di colonie. Un voto che è stato visto come una provocazione dalla comunità internazionale, e come un vero e proprio sopruso dalle istituzioni palestinesi.
E sull’area incombe sempre il nuovo decisionismo della Casa Bianca con le dichiarazioni di Donald Trump. Il messaggio è chiaro: “Resisti Israele”, ha twittato Il Presidente americano pochi giorni prima dell’insediamento. Affermazioni che sono seguite all’astensione degli Stati Uniti sulla risoluzione ONU che condannava proprio le colonie israeliane in Palestina.
Nei primi giorni di presidenza, Trump ha annunciato l’intenzione di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, capitale non riconosciuta dalla comunità internazionale perché occupata da Israele. In attesa di provvedimenti concreti, il prossimo 15 febbraio il premier israeliano Netanyahu volerà a Washington per il primo incontro con il neo Presidente. Da quel colloquio si capirà se la tensione in Medio Oriente potrà allentarsi, o se i venti di guerra continueranno a spirare.