Andriy Yermak, capo dello staff del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, è stato chiaro: «Siamo un avamposto del mondo democratico lungo il confine orientale. Ci aspettiamo azioni concrete e attive dall’Alleanza». Il 2 aprile 2008, in un vertice a Bucarest, la Nato aprì le porte all’Ucraina: una volta fatte le riforme richieste, il percorso di adesione (Map) poteva iniziare. Tredici anni dopo la questione ucraina non compare nemmeno tra i punti che verranno discussi il 14 giugno a Bruxelles. L’agenda politica prende il nome di “Nato 2030” e parla della definizione di un nuovo concetto di sicurezza rispetto alla sfida tecnologica sia in chiave russa che cinese, oltre che del cambiamento climatico. Dopo la presidenza Trump, che ha seguito le vicende dell’Alleanza da lontano ricordando spesso che nessuno dei partner rispettava gli obblighi economici, gli Stati Uniti con il nuovo presidente Joe Biden tornano al centro della geopolitica militare occidentale.

Il Trio associato – In un’intervista pubblicata su La Repubblica, Yermak ha ribadito la speranza del popolo ucraino affinché si trovi «al più presto il consenso sulla nostra adesione alla Nato. Il futuro dell’Ucraina dipende da loro». Da quando è stato riconosciuto il “principio della porta aperta” all’Ucraina, oltre che alla Georgia, poco è cambiato. Non sono stati ancora predisposti precisi piani per l’ingresso di Kiev nella comunità euro-atlantica. Nel frattempo, lo scorso 17 maggio Dimitry Kuleba, David Zalkaliani e Aureliu Chocoy, ministri degli Esteri di Ucraina, Georgia e Moldova, hanno sancito la nascita del “Trio associato”: un gruppo che dovrà facilitare l’ingresso dei tre Paesi nell’Unione Europea. Come ha ribadito Yermak, sotto l’amministrazione Biden sono aumentati i finanziamenti a favore dell’Ucraina in chiave anti-Russia. Protagonista è Antony Blinken, il capo del dipartimento di Stato americano e nipote di un emigrante ucraino, che sta seguendo con particolare attenzione i conflitti in Crimea e nelle regioni a est, il Donbass.

Punti da risolvere – Dal punto di vista dell’Alleanza, per essere integrata l’Ucraina deve risolvere ancora alcune questioni considerate prioritarie: prima fra tutte, il rafforzamento dello stato di diritto. Kiev deve concentrarsi sull’attuazione di riforme interne in modo da portare il suo sistema di difesa ai livelli richiesti dagli altri 29 partner. La corruzione nelle istituzioni al potere è ancora troppo elevata per poter avviare il Map. In merito a questi punti, Yermak sostiene che «bisogna anche tenere conto della recente escalation del conflitto nel Donbass e del recente ammassamento delle truppe russe lungo il confine». Inoltre, il comandante dell’Esercito ucraino, Ruslan Khomchak, sostiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato rafforzerebbe la stessa alleanza. Le sue forze armate sono uno «scudo per l’Europa. Le riforme da sole non possono fermare la Russia».

La regione del Donbass

La regione del Donbass, al confine con la Russia (Wikimedia Commons)

I conflitti in Crimea e nel Donbass – Il premier Zelenskyj ha invitato Biden a partecipare alla “Piattaforma della Crimea” prevista per il 23 agosto. Si tratta di un forum di discussione aperto a capi di Stato e associazioni non governative per impostare un piano strategico che porti alla fine dell’occupazione e il ristabilimento in Ucraina della Repubblica Autonoma di Crimea. Nel 2014 Vladimir Putin firmò un trattato di annessione della penisola alla Russia in seguito a un referendum considerato illegittimo dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea e dall’Assemblea generale dell’Onu. Lo slogan “Gloria ai nostri eroi”, utilizzato nella rivolta popolare antirussa di Maidan in quello stesso anno, compariva sulle maglie presentate dalla nazionale di calcio ucraina in occasione degli Europei 2020 in cui era disegnata anche la mappa del Paese, Crimea compresa. L’Uefa, in seguito a segnalazioni russe, ha imposto alla federazione ucraina il cambio di maglia. La Russia, che secondo Kiev negli ultimi anni ha schierato circa 100.000 soldati in Crimea e nell’Ucraina dell’Est, affianca all’impegno militare un robusto apparato comunicativo e di immagine. Per quanto riguarda la questione del Donbass, Putin sta cercando di assumere il ruolo di osservatore e mediatore esterno. In questa regione sul confine russo, nonostante la pace di Minsk firmata sei anni fa, gli scontri continuano. Per Yermak, «il motivo principale del fallimento della pace è dovuto al tentativo della Russia di truffare cambiando il senso degli accordi. Cercano di costringerci a trattare direttamente con le “quasi-formazioni”, non riconosciute da nessuno, esistenti nei territori occupati. Vogliamo creare una zona economica speciale. Non si è mai trattato di autonomia o di federalizzazione, questo è escluso». Il 15 giugno si svolgerà l’incontro tra Biden e Putin in cui, con ogni probabilità, si discuterà sia di Ucraina che degli altri Paesi Baltici preoccupati dalle aspirazioni russe.

Il ritiro delle truppe dall’Afghanistan – Il tutto a circa una settimana di distanza dal ritiro delle truppe Nato dall’Afghanistan occidentale dopo venti anni di conflitti. Ci sono ancora molti dubbi sul fatto che, una volta partiti i soldati, il governo civile sostenuto dall’Occidente rimarrà solido e non sarà rovesciato dai guerriglieri talebani, mai del tutto sconfitti. Biden aveva comunicato la propria decisione ad aprile, ma già con Trump erano iniziati i preparativi. Dopo la decisione degli Usa, tutti gli altri paesi Nato presenti in Afghanistan, tra cui l’Italia, hanno annunciato il loro ritiro. In due decenni, alla missione italiana hanno partecipato, a rotazione, circa cinquantamila soldati e di questi 53 sono morti in attacchi e attentati. La maggior parte degli analisti ha seri dubbi sul fatto che i risultati della missione occidentale potranno essere duraturi. La speranza del governo afghano è quello di riuscire a tenere almeno i principali centri abitati, prima fra tutte la capitale Kabul.