Quattro anni dopo il referendum, finalmente accade davvero: la Gran Bretagna esce dall’Unione Europea. A mezzanotte di domani 31 gennaio (ora italiana) finirà la fase pre-Brexit e inizierà con il 1 febbraio quella della transizione verso un addio ormai certo: niente più strisce umoristiche sull’indecisione cronica degli inglesi, niente più dirette dal Parlamento a tutte le ore. I fautori del divorzio avranno la loro rivincita, mentre i tifosi del remain (inclusa quasi tutta la popolazione scozzese) incasseranno la sconfitta: la separazione sarà reale, e i dettagli andranno definiti da qui al 31 dicembre 2020. Ma cosa si sa già del destino degli europei, e degli italiani, che vivono nelle isole? Come funzioneranno visti e permessi di viaggio, e come i viaggi studio? Ecco una pratica guida per continuare a mangiare fish and chips sulle rive del Tamigi senza brutte sorprese.

I residenti – Circa tre milioni di cittadini europei vivono in Gran Bretagna, di cui 700 mila italiani. Per mantenere i propri diritti è obbligatoria, ha ricordato anche il viceministro all’Interno Brandon Lewis, l’iscrizione alla piattaforma governativa Settlement Scheme entro e non oltre il giugno 2021. «Non cacceremo nessuno», ha precisato Lewis in un’intervista a Repubblica, riferendosi alle accuse rivoltegli dopo un discorso pubblico sulla possibilità di espellere i cittadini Ue: «Stavo solo esortando i cittadini italiani ed europei a iscriversi al programma, bastano dieci minuti. Per chi non riuscirà in tempo dimostreremo flessibilità». L’ambasciatrice britannica a Roma, Jill Morris, si è rivolta agli italiani che hanno scelto il Regno Unito con un sentito «Grazie!», ricordando che i loro diritti saranno tutelati e dicendosi speranzosa che scelgano di rimanere nella loro nuova casa (inclusa una grande comunità accademica).

Sì, viaggiare… – Nulla cambia per chi viaggerà nel Regno nel corso del 2020, anche se formalmente il territorio non farà più parte dell’area di libera circolazione di merci e persone. La carta di identità continua a essere un documento valido (sempre accettata, anche se Uk non ha mai fatto parte della Convenzione di Schengen), e non sono richiesti visti. Dal 2021, invece, occorrerà avere un passaporto per entrare in Uk per una qualunque ragione. Per quanto riguarda il visto, finisce il regime di spostamento libero: servirà un visto turistico ottenibile online con procedimenti facilitati. Controlli dei documenti saranno eseguiti alla nuova frontiera, negli aeroporti e nelle stazioni dei treni del TGV di Parigi e Londra. Per quanto riguarda la tolleranza per l’uso degli euro in grandi magazzini e negozi medio-grandi, invece, sarà abolito il doppio conio e si potranno usare solo le sterline.

Lavoro – Finita anche la libertà di trasferimento illimitato: per periodi superiori a 3 o 6 mesi sarà necessario un visto apposito per lavorare e vivere nel Paese. L’immigrazione legale stringe sulla manodopera non specializzata: sarà il benvenuto solo chi avrà un lavoro da 30 mila sterline (circa 35 mila euro ai tassi di cambio correnti) l’anno prima di entrare (anche se gli imprenditori stanno chiedendo di abbassare il tetto a 26 mila). Per ricercatori e scienziati esiste un programma a parte, il global visa scheme, lanciato pochi giorni fa dal primo ministro britannico Boris Johnson per dare continuità al flusso di talenti che scelgono il Regno Unito.

Studio – Studiare inglese su suolo britannico sarà ancora possibile per chi lo desidera, sempre con un documento d’ingresso veldi (carta d’identità fino al 31 dicembre 2020, poi passaporto). Per gli Erasmus invece (che riguardano il 6% degli studenti in mobilità in Uk) ci saranno imprecisate modifiche: a seguito di un voto in Parlamento, il Regno Unito non sarà tenuto a negoziare la partecipazione al programma intra-europeo di scambio per studio e lavoro, quindi non è direttamente escluso. Il governo inglese ha garantito la continuità degli scambi con alcune università, ma non si quali né quante, e non sono state fatte precisazioni per quanto riguarda le aziende partecipanti. Le conseguenze più gravi sembrano colpire proprio gli studenti inglesi, dato che la metà di quelli che si spostano lo fa attraverso il programma Erasmus+.

Le imprese – Anche per le imprese europee che operano in Uk la data del 31 gennaio non ha nessun valore pratico, perché la legge approvata dal parlamento inglese è sostanzialmente un “accordo per fare un accordo” entro la fine dell’anno. Dopo la fatidica data, il rischio concreto ruota attorno a burocrazia e logistica – le merci in entrata dovranno comunque essere sottoposte a controlli e procedure che potrebbero dilatare lo smistamento interno. Per non parlare dei dazi, oltre a possibili nuove norme sanitarie ed etichettature per il mercato agroalimentare. Resta il fatto che il Regno Unito è un importatore totale e compra beni dall’Europa, incluso il Made in Italy, in grande quantità.