Era un personaggio scomodo da vivo, Jorge Videla, l’ex dittatore argentino morto venerdì 17 maggio, e lo rimane anche da morto. Non lo vuole avere tra gli ospiti del proprio cimitero il piccolo paese di Mercedes, nella Pampa, dove il dittatore è nato 87 anni fa. «Lo gettino in mare, come ha fatto lui», è il commento dei suoi concittadini. Un riferimento alla sorte riservata ai suoi avversari politici, gettati dagli aerei nel Rio della Plata, dall’uomo che, grazie a un colpo di stato militare, ha governato l’Argentina tra il 1976 e il 1981. Sotto la sua dittatura, più di duemila furono gli uccisi, e oltre trentamila i desaparecidos, le persone scomparse nel nulla.
Alla caduta della dittatura Videla fu condannato all’ergastolo, ma nel 1990 il presidente Carlos Menem gli concesse l’indulto. È stato il successore Néstor Kirchner a spingere affinchè la Corte Costituzionale annullasse l’indulto, e nel 2010 Videla si è assunto tutta la responsabilità dei propri crimini. Nel 2012, infine, è arrivata la condanna a 50 anni di carcere per il ricorso sistematico al sequestro dei figli dei desaparecidos che, in questo modo, diventavano proprietà dello Stato e passavano sotto la tutela di famiglie fedeli al regime.
«Non vogliamo che i resti siano sepolti qui e la città divenga luogo di passaggio e di riflessione della destra fascista argentina», ha aggiunto José Luis Pisano, segretario locale del Partito socialista.
Angela Tisbe Ciociola