Una delle strade della città di Rafah (foto di Wikimedia Commons)

Sono passati 115 giorni dall’inizio della guerra e di Yahya Sinwar non c’è traccia. Il nascondiglio sotterraneo di Hamas è ancora intatto. Secondo i servizi segreti israeliani, è in quei tunnel, sotto la Striscia di Gaza, che si nasconde Sinwar, capo politico di Hamas e mente dell’attentato del 7 ottobre. L’esercito israeliano lo sta cercando: ora anche in quei luoghi al confine con l’Egitto, ultimo angolo sicuro per i palestinesi della Striscia. Sul fronte diplomatico, i vertici dei servizi segreti di Israele, appoggiati dagli Stati Uniti, stanno negoziando il rilascio degli ostaggi israeliani, ma la tensione nell’area si allarga ancora. Un drone kamikaze ha ucciso in Giordania tre militari americani, le prime perdite Usa dopo il 7 ottobre. Washington accusa l’Iran, che nega ogni coinvolgimento.

Ostaggi –  Il 28 gennaio i vertici dei servizi segreti di Israele, Egitto e Stati Uniti, e il primo ministro del Qatar si sono incontrati a Parigi im una tornata di difficili trattative. A partecipare all’incomtro sono stati: il capo del Mossad (agenzia di intelligence di Israele) David Barnea, il premier del Qatar Mohammed al-Thani, il capo della Cia William Burns e quello dell’intelligence egiziana Abbas Kamel. «Si sono fatti alcuni progressi», ha detto una fonte diplomatica israeliana alla tv Kan. Secondo l’ufficio del premier israeliano Benyamin Netanyahu, «l’incontro è stato costruttivo ma ci sono ancora divari significativi tra le parti che saranno discussi in altri incontri in questa settimana». Hamas ha però smorzato le aspettative. «Il successo dell’incontro di Parigi dipende dal fatto che Israele accetti di porre fine all’aggressione nella Striscia di Gaza», ha detto, come riporta Al Jazeera, Sami Abu Zuhri, alto funzionario di Hamas. Il gruppo ha inoltre affermato che un rilascio completo degli ostaggi richiede anche che Israele liberi tutte le migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Una mappa della Striscia di Gaza (fonte: Wikimedia Commons)

Rafah – Secondo i media israeliani, Israele ha avvisato l’Egitto di voler entrare con le truppe a Rafah, nel sud della Striscia, a ridosso con il Sinai egiziano, ultima città risparmiata dai combattimenti più pesanti. L’esercito israeliano vorrebbe presidiare il “corridoio Filadelfia” che si snoda al confine dello Stato africano, nel timore che il capo di Hamas possa usare i tunnel per fuggire oltre frontiera. Il premier Netanyahu ha però negato che ci siano accordi con Il Cairo. Se Rafah venisse invasa, gli sfollati palestinesi non avrebbero nessun altro posto dove rifugiarsi. «Non ci resterebbe che buttarci tutti in mare e annegare», ha scritto il giornalista palestinese Sami al-Ajrami, nella sua testimonianza dalla Striscia per il quotidiano La Repubblica. A fornire assistenza agli sfollati nella città meridionale della Striscia è l’agenzia della Nazioni unite per i profughi palestinesi (Unrwa).

Unrwa Sabato 27 gennaio, diversi Paesi hanno annunciato di aver sospeso i finanziamenti all’Unrwa. La decisione è stata presa dopo che Israele aveva accusato alcuni dipendenti dell’agenzia di essere stati coinvolti nel violento attacco compiuto dal gruppo armato palestinese Hamas contro Israele il 7 ottobre. L’Italia invece ha detto che aveva già sospeso i finanziamenti prima delle accuse, dopo il 7 ottobre. Al momento, gli Stati che hanno annunciato la sospensione dei fondi sono nove: Regno Unito, Australia, Canada, Finlandia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera, Stati Uniti e Italia. Lunedì sono arrivate le dichiarazioni del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres: «Qualsiasi dipendente delle Nazioni unite coinvolto in atti terroristici sarà ritenuto responsabile, anche attraverso un’azione penale», ha detto Guterres, impegnandosi a collaborare con le autorità competenti. Il segretario ha confermato che 12 dipendenti dell’Unrwa a Gaza sono interessati da queste accuse, che sono oggetto di un’indagine interna dell’Onu: l’Unrwa ha licenziato nove di loro. Dal 1949 l’Unrwa fornisce assistenza umanitaria ai palestinesi che hanno lasciato le proprie case o vivono nei campi profughi in Israele, nei territori palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e nei Paesi vicini. Non è la prima volta che vengono sospesi i finanziamenti a questa agenzia.