Julian Assange è stato arrestato a Londra nella mattinata di giovedì 11 aprile. Lo ha annunciato Scotland Yard in un comunicato diffuso sui canali social. Nel momento dell’arresto l’attivista australiano, fondatore di WikiLeaks, la piattaforma per la diffusione di documenti riservati, si trovava nell’ambasciata dell’Ecuador. L’uomo si era rifiutato di lasciare l’edificio in cui aveva trovato rifugio nel 2012, dopo che il presidente Lenin Moreno gli aveva revocato l’asilo politico. L’ambasciatore di Quito ha quindi fatto entrare la polizia britannica, che ha portato via con la forza l’attivista australiano. Sulla base di un trattato internazionale, Assange potrebbe essere estradato negli Stati Uniti.

L’arresto – Secondo le dichiarazioni degli attivisti di WikiLeaks, rilasciate attraverso alcuni tweet, l’azione dell’ambasciatore ecuadoregno ha posto fine «illegalmente all’asilo politico di Assange, in violazione al diritto internazionale», dopo che lo stesso Assange aveva rifiutato di allontanarsi dall’ambasciata. L’accusa di WikiLeaks è stata confermata da un video rilasciato da Sky News, dove si vedono sette agenti in borghese sollevare l’uomo e portarlo via di peso fuori dalla porta dell’edificio. Assange, ha avuto modo di lanciare il suo j’accuse: una denuncia, «il Regno Unito non ha civiltà» e un appello ai cittadini britannici a resistere.
Dopo l’arresto, il fondatore di WikiLeaks è stato portato in una stazione di polizia del centro di Londra e gli è stata contestata la violazione della libertà vigilata, accusa che lo accompagnava dal 2012 e di cui ora dovrà rispondere davanti ai magistrati britannici. Ma se quello che Assange rischia nel Regno Unito è una condanna leggera, di pochi mesi, lo scenario di una possibile estradizione negli Usa – dove è ancora aperta un’indagine del Grand Jury di Alexandria (Virginia) per la pubblicazione di documenti segreti del governo americano – lo espone addirittura al rischio della prigione a vita. Alle ore 10.53 è arrivata infatti alla stazione di polizia di Londra centro la richiesta di estradizione dagli Stati Uniti, dove è accusato di pirateria informatica.

Le dichiarazioni – Non si è fatto attendere il comunicato del presidente dell’Ecuador Lenin Moreno: «Con una decisione sovrana, l’Ecuador ha revocato lo status di asilo a Julian Assange dopo le sue ripetute violazioni delle convenzioni internazionali». Ma, continua il presidente, «Assange non sarà estradato in un Paese che applica la pena di morte». Immediati i ringraziamenti del governo britannico, sia da parte della premier Theresa May, ma soprattutto attraverso le parole del ministro dell’Interno Sajid Javid: «Voglio ringraziare l’ambasciata dell’Ecuador per la sua cooperazione e la polizia per la sua professionalità: nessuno è al di sopra della legge». L’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa, che aveva concesso l’asilo politico a Julian Assange, ha invece accusato di «tradimento» il suo successore: «Così ha messo a rischio la vita di Assange e umiliato l’Ecuador. Moreno è un corrotto ma quello che ha fatto oggi è un crimine che l’umanità non dimenticherà mai».

La posizione italiana – La notizia dell’arresto dell’attivista australiano 47enne è rimbalzata in tutto il mondo, scatenando le reazioni dell’opinione pubblica internazionale e di alcuni governi. Dura la presa di posizione di quello italiano, attraverso le parole del sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano: «L’arresto di Assange, dopo 7 anni di ingiusta privazione di libertà, è una inquietante manifestazione di insofferenza verso chi promuove trasparenza e libertà come WikiLeaks. Libertà per Assange». In precedenza si era esposto anche il governo russo: come riporta l’agenzia moscovita Tass, il Cremlino ha auspicato che «siano rispettati tutti i diritti del fondatore di WikiLeaks». E sempre dalla Russia arrivano le dichiarazioni di Edward Snowden, ex analista della National Security Agency e gola profonda del Datagate, lì in esilio: «Questo è un momento buio per la libertà di stampa. Queste immagini finiranno nei libri di storia».

L’estradizione – L’asilo politico al fondatore WikiLeaks era stato concesso il 19 giugno 2012 dall’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dopo che la Corte Suprema britannica aveva decretato l’estradizione di Julian Assange in Svezia, dove pendeva su di lui un mandato d’arresto con l’accusa di molestie e stupro. Il 19 maggio 2017 l’inchiesta svedese è stata archiviata, così come quella americana in mano al procuratore speciale Robert Mueller sulla pubblicazione di alcune e-mail dei democratici statunitensi. Ma non quella del Grand Jury di Alexandria, fatto che fa temere agli attivisti della piattaforma WikiLeaks che i giudici britannici possano decidere per l’estradizione di Assange proprio negli Stati Uniti.
L’obiettivo di WikiLeaks, piattaforma nata il 4 ottobre 2006, è quello di rivoluzionare il mondo dell’informazione e di attaccare il potere, pubblicando documenti coperti da segreto di Stato. A oggi sono stati messi online circa 10 milioni di documenti. Tra le rivelazioni più scottanti, i Guantanamo Files, che nel 2011 hanno reso note le violazioni su 800 prigionieri nel carcere di Guantanamo. E la lista di abusi, torture, stupri, uccisioni di civili compiute dall’esercito statunitense durante le guerre in Iraq e in Afghanistan, informazioni segrete fornite dal soldato Bradley Manning, per cui ha subito una condanna nel 2013 a 35 anni di carcere.