Non solo missili, ma anche pugni, bastonate e sassate. La decisione della Corte Suprema d’Israele, favorevole allo sgombero di alcuni residenti palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma dietro la nuova guerra cominciata il 6 maggio, si celano fatti apparentemente insignificanti. Uno di questi è avvenuto il 22 aprile, quando il piccolo gruppo di estrema destra israeliano Lehava ha organizzato una marcia a Gerusalemme, scandendo slogan razzisti: “Ripristinare la dignità ebraica” e “Morte agli arabi”. In quella circostanza, assalti e violenze contro i palestinesi hanno provocato 100 feriti. Oltre a peggiorare il clima politico, da sempre teso tra i due popoli.

I movimenti di ultra-destraLehava, noto per aver abbracciato il suprematismo nazionalista, non è l’unico movimento di ultradestra. A dargli man forte, ci sono le milizie de La Familia, i teppisti delle colline e gli ultraortodossi. Ciò che unisce questo coacervo di rivoltosi è la capacità di utilizzare i social network, al fine di istigare gli israeliani a colpire gli arabi. Linciaggi e aggressioni urbane sono l’altra faccia di uno scontro affrontato a suon di razzi e missili. Haifa, Jaffa, Lod: sono solo alcune delle città in cui si sono registrati tafferugli di questo tipo. C’è anche Tel Aviv, in particolare il sobborgo di Bat Yam: qui il 13 maggio la tv israeliana ha ripreso un uomo palestinese mentre veniva pestato. Non a caso, di Bat Yam si parla su alcune chat di gruppo di WhatsApp Signal scoperte dal giornale indipendente Middle East Eye. Su queste piattaforme, i gruppi di ultradestra pianificano attacchi contro la parte avversa. «A Bat Yam è stato fatto un ottimo lavoro”, commenta un membro sul gruppo. Non mancano i messaggi per motivare e organizzare gli affiliati: «Non abbiate paura, noi siamo i prescelti» e «Portate tutto, coltelli, benzina».

La condanna – Il leader dell’opposizione Yair Lapid – fondatore del partito Yesh Atid ha condannato le azioni dei gruppi estremisti: «I rivoltosi di Lod e Acre non rappresentano tutti gli arabi israeliani. I rivoltosi di Bat Yam e i membri di La Familia, Lehava e Kahana Lives [gruppi ebrei di estrema destra] sono un gruppo di patetici razzisti che non rappresentano gli ebrei di Israele». Per Lapid, «la stragrande maggioranza del popolo di Israele, ebrei e arabi, sono molto meglio di questo. La maggior parte di noi crede nella coesistenza. Il ruolo della leadership da entrambe le parti è quello di abbassare le fiamme, chiedere a tutti di obbedire alla legge, ridurre le tensioni e contribuire a ripristinare l’ordine». L’esponente del partito laico ha ribadito che «la violenza non ci sconfiggerà. La violenza non detterà le nostre vite. Non permetteremo una situazione in cui le sinagoghe vengono bruciate, le persone innocenti vengono picchiate e le vite di coloro che vivono nelle città [ebraico-arabe] sono trasformate in un inferno vivente».

 

 

Risultati delle elezioni – Ciò che sta accadendo nelle strade ha un filo diretto con le aule parlamentari. Nelle elezioni del 23 marzo per eleggere i 120 membri del Knesset, il Parlamento monocamerale locale, la coalizione di ultradestra del Partito sionista religioso (HaTzionut HaDatit) ha ottenuto sei seggi, con più di 225 mila voti, pari al 5,12% delle preferenze. A dispetto delle analisi, HaTzionut HaDatit (Sionismo religioso), Otzma yehudit (Potere ebraico) e Noam (Piacevolezza), i tre partiti, sono i veri trionfatori delle ultime elezioni. Per Benjamin Netanyahu, leader di Likud, partito nazionalista, i seggi della destra estrema si sono rivelati fondamentali per formare una maggioranza di governo di destra radicale guidata. Il premier ha voluto compensare una potenziale perdita di consensi a favore del partito Nuova Speranza – nato nel 2020 da una scissione dal Likud guidata da Gideon Saar – e per questa ragione è stato il fautore dell’alleanza dei partiti di estrema destra religiosa, troppo piccoli per superare singolarmente la soglia di sbarramento del 3,25 %.