Xi Jinping e Vladimir Putin al Cremlino il 21 marzo (foto Ansa/EPA)

Un’accoglienza regale nelle sale del Cremlino e un commiato in grande stile, con la guardia d’onore russa che ha eseguito gli inni cinese e russo prima che Xi Jinping salisse sull’areo che lo ha riportato in patria: il vertice di tre giorni tra il leader cinese e Vladimir Putin si è concluso come era iniziato, con sorrisi e dichiarazioni di amicizia e collaborazione. Tre i temi al centro dell’incontro: il rapporto (a tutto tondo) tra le due nazioni, la sfida all’Occidente e la guerra in Ucraina. Gli obiettivi dei due leader, però, erano diversi. Putin cercava soprattutto un sostegno economico, militare e diplomatico nei confronti dell’Occidente, mentre per Xi il summit era un banco di prova per testare le proprie capacità di mediazione, ma sarà l’esito di un eventuale colloquio con Zelensky a dire quale ruolo può esercitare la Cina come soggetto della politica internazionale.

Amici, non alleati – «Ci sono cambiamenti che non sono avvenuti in cent’anni. Quando siamo insieme possiamo guidare questi mutamenti», ha detto Xi nel suo saluto finale, facendo intendere un rafforzamento del rapporto tra Cina e Russia. La definizione di questo rapporto, però, è passata dall’essere “amicizia senza limiti” a “amicizia duratura e tradizionale”, un cambiamento lessicale che sembrerebbe ribadire da parte cinese non c’è la volontà di spingersi verso un impegno troppo stretto, rimanendo sul terreno della collaborazione strategica. La Cina, del resto, non ha mai riconosciuto l’annessione della Crimea, né i referendum nei territori occupati. Pechino, inoltre, per il momento continua a non fornire armi alla Russia. Secondo Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, Xi sa che aiutare militarmente Mosca «significherebbe sostenere una guerra illegale». La competizione globale che Russia e Cina hanno lanciato da tempo agli Stati Uniti e all’Occidente, quindi, prosegue, ma non attraverso un’alleanza vera e propria. In questo senso, i toni dei rispettivi leader – bellicoso Putin, cauto Xi – sembrano testimoniare una certa distanza.

Asimmetria economica – Al centro del vertice di Mosca c’è stata la firma di 14 accordi commerciali, che dovrebbero portare a un interscambio dal valore di circa 200 miliardi di dollari. L’impatto di questi trattati, però, è asimmetrico. Per la Cina vale relativamente: il volume economico degli scambi rimane pari a un settimo di quelli con Usa e Ue. Per la Russia, invece, si tratta di accordi fondamentali: il Cremlino è alla continua ricerca di partner che sostituiscano gli introiti che il commercio con l’Europa garantiva e il potenziamento del rapporto con la Cina è la via più veloce per farlo. L’asimmetria si è riflessa nel commento dei due leader riguardo al gasdotto Power of Siberia 2, che dovrebbe entrare in funzione nel 2030 e far salire a 98 miliardi di metri cubi la fornitura annuale della Russia alla Cina. Prima del vertice, Putin lo aveva definito «l’affare del secolo». Dopo l’incontro ha esultato: «Abbiamo concordato i parametri», ha detto, sottolineando che gli accordi con Cina e Mongolia (sul cui territorio dovrà passare il gasdotto) sono stati completati. La firma su questi documenti, però, non è arrivata e nel comunicato congiunto dei due presidenti si fa riferimento solo agli sforzi «per portare avanti i lavori di studio e approvazione del progetto». Nella sua dichiarazione personale, poi, Xi non ha nemmeno menzionato Power of Siberia 2, lasciando presagire che l’accordo sia lungi dall’essere definito.

I dodici punti – La cautela cinese ha fatto da sfondo anche ai colloqui riguardanti la guerra. In pubblico Xi non ha quasi mai nominato l’Ucraina, mentre negli incontri privati con Putin non ha promesso né parlato di armi, limitandosi a (ri)proporre gli ormai noti «12 punti per la soluzione della crisi». Il Presidente russo li ha accolti, ma non totalmente: «Molte delle proposte del piano di pace cinese sono in sintonia con l’approccio russo e possono essere prese come base per un regolamento del conflitto, quando l’Occidente e Kiev saranno pronti». Molte, quindi, ma non tutte le proposte. I dubbi di Putin riguarderebbero in particolare il primo punto, dove è affermato il rispetto «della sovranità e integrità territoriale» di ogni Stato. Nella dichiarazione congiunta di Cina e Russia non compare, tra l’altro, nessun riferimento a questa clausola. Citarla, infatti, avrebbe messo in imbarazzo entrambi i Paesi. L’integrità territoriale dell’Ucraina è stata violata dalla Russia il 24 febbraio 2022, mentre la Cina avrebbe rischiato di porre un’auto-limitazione alle proprie mire su Taiwan.

Xi il mediatore – Il viaggio a Mosca potrebbe essere solo il primo passo di un’azione diplomatica di Xi per disinnescare il conflitto in Ucraina. Il presidente cinese dovrebbe telefonare a Volodymyr Zelensky per intavolare un dialogo, ma da parte ucraina è trapelata una certa diffidenza: Zelensky vuole chiarimenti riguardo ai concetti chiave di «sovranità e integrità territoriale». Inoltre, secondo il presidente ucraino (e la Casa Bianca che lo sostiene) un cessate il fuoco patrocinato dalla Cina permetterebbe alla Russia di rafforzare le proprie posizioni invece che favorire una giusta soluzione del conflitto. Un esito positivo delle eventuali trattative darebbe prestigio al leader cinese, ponendo Pechino ancora più al centro delle sistema delle relazioni internazionali.