Splende il sole su Londra, ma non a Downing Street. Nella celebre via in cui si trova la residenza del Primo ministro inglese, il clima è decisamente variabile con tendenza al brutto.Tra Theresa May che non sa più come sbloccare l’impasse che dura da quasi tre anni (data del referendum sulla Brexit), un Parlamento che si rifiuta di ascoltare l’ennesima proposta di uscita dall’Unione europea e le dimissioni dell’ undicesimo ministro, Andrea Leadsom, il 23 maggio è stata l’ennesima giornata nera per il partito di governo, i Tory, e per il destino del Regno Unito.

Il voto – Alle sette di mattina in Gran Bretagna si sono aperte le porte dei seggi elettorali per le elezioni europee. Più di un elettore inglese, nel silenzio dell’urna, si sarà domandato perché si trova di nuovo a scegliere i rappresentanti del Paese a Strasburgo, ben 73 eurodeputati: 70 in Gran Bretagna e 3 in Irlanda del Nord. Sarebbe anche lecito che quell’elettore si chiedesse, prima di segnare sul foglio bianco e nero un voto, che fine possa fare quel voto. Da ormai quasi tre anni infatti, la decisione popolare di uscire dall’Unione Europea (votata nel referendum sulla Brexit dal 51,89% degli elettori) è rimasta insoddisfatta. Secondo i sondaggi, in queste elezioni chi raccoglierà maggiori consensi sarà Nigel Farage, il leader del partito indipendentista. Nel 2016 Farage era riuscito a convincere l’allora Primo ministro David Cameron e la maggioranza sulla necessità di indire un referendum per uscire dall’Unione Europea e oggi, con il progressivo sgretolamento del potere della May e il rafforzamento del Brexit Party (fondato dallo stesso Farage), molti ritengono sarà anche quello che firmerà il divorzio tanto atteso. Secondo le stesse stime, i Conservatori hanno un consenso basso, intorno al 7 per cento, e riflette la debolezza del primo ministro. Nonostante le ripetute richieste di dimissioni, ancora non è stato presentato un vero e proprio ultimatum alla May. Anzi, secondo il ministro degli esteri Jeremy Hunt, la leader Tory «sarà ancora primo ministro per ricevere il presidente degli Usa Donald Trump» atteso in visita di Stato nel Regno Unito dal 3 al 5 giugno. «E’ giusto che sia così», ha aggiunto Hunt

 

Andrea Leadsom –  Inizia con la consueta formula, scritta a mano, la lettera di dimissioni del leader della Camera dei Comuni del Regno Unito «Dear Prime Minister», (Caro Primo Ministro), depositata il 22 maggio. Continua scritto al computer invece, il testo che contiene le motivazioni per cui Leadsom, ministro conservatore, non crede più nelle modalità in cui la Brexit verrà proposta nuovamente al Parlamento europeo entro il 31 ottobre del 2019. Tra le motivazioni delle dimissioni di Leadsom c’è anche l’ultima offerta fatta dal primo ministro ai parlamentari: la possibilità di avere un secondo referendum appunto. Nella lettera il leader della Camera dei Comuni  articola la propria decisione in quattro punti ed è proprio l’ultimo a far emergere due parole chiave di questa faccenda: « Collective responsability» (responsabilità collettiva).

«Responsabilità collettiva» – Quello che gli elettori inglesi stanno dimostrando andando a votare nuovamente durante le elezioni europee è proprio la «responsabilità collettiva» di cui ha scritto Leadsom. Il Regno Unito è membro dell’Unione Europea dal 1973 e, nonostante il referendum consultivo del 2016 abbia visto la vittoria di chi vuole uscire dall’Unione, la mancata approvazione di una forma praticabile di addio a Bruxelles ha fatto sì che Londra sia ancora uno stato membro dell’Ue. Quindi ai suoi cittadini è toccato andare a votare, salvo revoca degli eletti se nei prossimi mesi la Brexit diventerà realtà. La “stessa responsabilità collettiva” citata dal leader della Camera dei Comuni avrebbe dovuta essere messa in mostra da governo e opposizione per «il rispetto del risultato del referendum» e per garantire nuovamente al Regno Unito di essere «sovrano».  Forse spetterà al Brexit Party di Nigel Farage, indicato fino ad ora al 37 per cento dei consensi, fare quello che May non è riuscita a compiere.