«I politici adesso si trovano con le elezioni sul web, col sorteggio. E questo non vale solo per i grillini, è quello che avviene in tutti i partiti», afferma Massimo Cacciari, che lunedì 11 dicembre è stato protagonista del primo appuntamento del ciclo di incontri sulle «Grandi sfide future», promosso dal Master di Giornalismo Walter Tobagi dell’Università degli Studi di Milano e introdotto dal direttore accademico della Scuola Nicola Pasini. «Più diventa complesso il mondo della tecnica, dell’economia e della finanza, più per il politico è difficile sapere», spiega il filosofo. Se chi vuole sapere non fa politica, la classe dirigente, che ormai viene scelta in modo quasi casuale, finisce per essere sempre più povera.
La lectio – L’incontro si è aperto con una relazione su «L'(im)potenza della politica». Partendo dalla lezione di Max Weber La politica come professione, Cacciari ha ricordato che per il sociologo e filosofo tedesco quello del politico è un lavoro intellettuale, cioè un lavoro antidogmatico che ha una missione, quella di «costruire l’intero mondo secondo criteri di razionalità». Il politico però aggiunge a questa razionalizzazione una scala di valore. Per convincere infatti deve dire che la sua presa di posizione è la migliore possibile. E questo elemento non ha nulla di razionale. Weber supera questa contraddizione attraverso l’etica della responsabilità ovvero la capacità del politico di rispondere alle domande dei cittadini, di avere degli obiettivi e sapere come raggiungerli. «Questa contraddittorietà del pensiero politico emerge in modo sempre più evidente laddove gli altri lavori di tipo intellettuale aumentano di potenza ed è quello che è accaduto negli ultimi cinquant’anni».
Serve una rivoluzione- «Di fronte al disordine attuale, i politici possono solo fare dei piccoli aggiustamenti. L’unica via d’uscita è una rivoluzione – ha dichiarato Cacciari – che non è il progetto di qualcuno (quella è una visione romantica), ma un cambiamento di stato. Io credo che si arriverà a questo perché ormai le cose sono in evidente conflitto. Basta vedere il baratro che si è aperto tra lavoro scientifico e lavoro politico. Che è un baratro recente. Quelli della mia generazione che hanno fatto politico infatti credevano che la prassi politica fosse lavoro intellettuale, avesse un fine da perseguire e sapesse con quali mezzi raggiungerlo». In assenza di questo è chiaro che i giovani non si impegnano in politica.