Lo stimolo dell’associazione Libera alla fine è stato raccolto dagli stati generali della città di Milano, che nella serata del 6 febbraio si sono dati appuntamento all’auditorium San Carlo. In una tavola rotonda tra le istituzioni laiche e religiose della città, il sindaco Beppe Sala, l’arcivescovo Mario Delpini e il procuratore Francesco Greco hanno discusso con il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, del rapporto sulla percezione e la presenza di mafie e corruzione in Lombardia, presentato il 29 dicembre al grattacielo Pirelli.
Una città che non si arrende – Il sindaco Beppe Sala ha subito parlato di numeri: «Qui ci sono grandi risorse e appalti. Solo a Milano arriva il 30% degli investimenti stranieri di tutta Italia. È chiaro che chi ha interessi corruttivi cerchi gli affari in questa città. Ma sono sorpreso che addirittura 1 lombardo su 2 pensi che i politici siano corrotti». Un dato che evidenzia un problema di fondo, quello della corruzione del sistema politico e della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il sindaco non vuole nasconderlo e per questo ha lanciato un appello ai colleghi: «Ogni politico, prima di essere eletto, dovrebbe firmare dei codici di condotta che impegnino nella trasparenza delle proprie azioni e dei rapporti con il mondo privato. Nel momento in cui li viola, deve rassegnare subito le dimissioni».
Qualche parola spesa anche sulle già smentite dimissioni di Raffaele Cantone dalla presidenza dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione): «In realtà ha solo chiesto di verificare se ci sono spazi per un suo ritorno in magistratura. Rimane però il fatto che una scelta del genere può nascondere una qualche forma di malessere». Francesco Greco, procuratore capo di Milano, conferma le parole del sindaco e invita a fare attenzione a non mettere in crisi un meccanismo sano: «L’Anac va difesa e migliorata, non facciamo discorsi pericolosi per la legalità».
L’era post-Tangentopoli – Parlare di corruzione a Milano non può non riportare alla mente Tangentopoli, il sistema di tangenti rivelato dalle inchieste della Procura all’inizio degli anni Novanta. Greco è però critico con un tipo di analisi che colleghi la percezione attuale sulla corruzione a quelle vicende: «Mani Pulite ha chiuso una stagione di corruzione su cui si reggeva la classe politica e sarebbe sbagliato adesso ripetere le stesse cose di allora. Bisogna rispondere piuttosto ai problemi attuali, alla criminalità degli affari nel settore privato, avallati da alcuni politici». Sala annuisce con un sorriso amaro, mentre Greco denuncia «la grande madre» delle infiltrazioni mafiose nella regione: l’evasione fiscale. Con quei capitali non dichiarati si altera la concorrenza, impiegandoli in un sistema perverso: corrompendo, si costringe i concorrenti ad adeguarsi a quel metodo, oppure a soccombere. Un sistema dannoso per tutti i cittadini, oltre che per l’economia della regione: «La corruzione è la via breve per l’immobilismo, per non spendere in innovazione e ricerca». Ma, ha concluso il procuratore di Milano, di leggi serie per contrastarla non se ne sono mai viste.
No alla sfiducia nei politici – È un appello alla resistenza civile quello lanciato dall’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini. Se le mafie sono penetrate nella regione, inquinandone il tessuto economico, è perché hanno potuto sfruttare uno stato d’animo generale di paura o indifferenza e di sfiducia nelle istituzioni. Non si può però generalizzare l’accusa di corruzione a tutti i politici, ha sottolineato l’arcivescovo, ma ogni cittadino deve attivarsi nella denuncia di un sistema corruttivo e mafioso, «chiamando le cose con il proprio nome: il bene è bene, il male è male». Per questo ha ricordato la lettera inviata a gennaio ai parroci della sua diocesi, in cui ha segnalato il pericolo di infiltrazione mafiosa nelle aziende del territorio: monsignor Delpini li ha richiamati ad accompagnare le vittime alla denuncia, per uscire da una situazione di complicità causata dalla paura e dalla solitudine di fronte alla forza dei clan. Questo l’impegno concreto della Chiesa di Milano, che si può avvalere anche dei «semi incoraggianti lasciati da Libera, come i beni confiscati alle mafie che sono stati dati in gestione alla Caritas e ad altri enti ecclesiastici», ha concluso l’arcivescovo.
«Serve una reazione» – Ha concluso la conferenza don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Sono bastati pochi secondi di intervento perché don Ciotti si infervorasse, per dare una scossa al pubblico in sala e ai cittadini italiani: «La società civile deve essere un pungolo per la politica. Non è possibile che non si promuova la giustizia sociale». La veemenza è stata anche dettata dal fatto che, dal rapporto, il 10% degli intervistati considera la mafia solo un problema di letteratura: «Una parte della società tornando indietro, pensa di essere ancora ferma ai tempi di Falcone e Borsellino. Invece le mafie sono cambiate insieme all’Italia, si sono sviluppate in senso imprenditoriale nell’economia legale e nei mercati, con la complicità e la corruzione di politici e privati», ha accusato don Ciotti. Ricordando le parole del cardinal Carlo Maria Martini – «non si deve fare di ogni erba un fascio» – , ha però invitato a individuare le persone, soprattutto in politica, che si impegnano per la legalità. Sotto lo sguardo pieno di consenso dell’arcivescovo Delpini, don Ciotti ha lanciato la sua ultima sfida alla politica e al Decreto Sicurezza, che ha allargato la possibilità di vendita all’asta dei beni confiscati alla mafia: «Libera non è mai stata contro la vendita ai privati, ma così si rischia di non privilegiare l’interesse della collettività. È la vittoria dello Stato se la villa di un boss diventa un asilo, non se viene ricomprata attraverso prestanome».