pd milano

Nel Pd la frattura, diventata insanabile dopo l’assemblea di domenica 19 febbraio, inizia a farsi sentire anche a livello locale. In Lombardia però la situazione sembra meno drammatica che altrove. A dirlo è lo stesso segretario regionale del partito, Alessandro Alfieri, che ha dichiarato all’Agi: «Non vedo persone in uscita ma, anzi, persone che vogliono dare una mano a risolvere i problemi all’interno del Pd». Alfieri assicura che i rappresentanti istituzionali che stanno valutando l’uscita dal partito si contano sulle dita di una mano e che lui farà tutto il possibile per convincerli a rimanere. Tra i possibili transfughi il consigliere regionale Onorio Rosati, ex Cgil, vicino ai “tre tenori”, come vengono chiamati i dissidenti Enrico Rossi, Roberto Speranza e Michele Emiliano. Raggiunto al telefono, Rosati dice che aspetterà le prossime ore per decidere cosa fare. «La scissione rischia di essere una sconfitta per tutti», ammette, ma aggiunge di non essere interessato a stare in un partito che pensa di poter far a meno della sinistra.

L’appello. Nei giorni scorsi ci sono stati tanti inviti all’unità e anche in queste ore si assiste a qualche ultimo disperato tentativo di pacificazione. Proprio dalla Lombardia, in vista dell’assemblea nazionale, era partita una lettera di Alfieri e dei 12 segretari provinciali, firmata da più di 500 segretari di circolo, nella quale si scriveva: «Quello che prenderà avvio nei prossimi giorni dovrà essere un congresso vero, nel quale si confronteranno, con franchezza e passione, idee e proposte nelle quali riconfermare le ragioni del nostro stare insieme. Lavoreremo quindi perché sia il luogo del confronto e perché tutti si impegnino lealmente a rispettarne l’esito. Per questo non accettiamo anche solo l’accenno ad un’eventuale scissione». L’appello però sembra essere arrivato troppo tardi, come lamenta Rosati. «Bisognava ascoltare prima chi diceva che sul referendum saremmo andati a sbattere», insiste il consigliere regionale.

Il Consiglio comunale.«Oggi saremo in aula tutti insieme», sottolinea Filippo Barberis, capogruppo Pd a Palazzo Marino, che per ora esclude che l’uscita della minoranza possa avere ricadute automatiche in Consiglio comunale. Nessuno dei consiglieri sarebbe intenzionato a lasciare il gruppo, ma la discussione è aperta. «La sinistra continua a non imparare dalla propria storia», commenta Barberis, che aggiunge: «Sono d’accordo con Fassino. Ci sono argomenti per una mozione,ma non per una scissione». Se gli si chiede se Renzi abbia una qualche responsabilità nel non aver impedito l’inasprimento del conflitto, risponde: «La modalità della sua leadership ha creato delle tensioni, alcune giuste, altre  forse potevano essere evitate». Questo però, a suo dire, non giustificherebbe la scelta di Bersani & c.

Il Consiglio regionale. A Palazzo Lombardia gli sviluppi potrebbero essere più complessi. Lì infatti la minoranza ha qualche numero in più. Ci si interroga soprattutto sulla scelta del capogruppo Enrico Brambilla. L’ex sindaco di Vimercate, che al referendum ha votato no, potrebbe essere tentato dal richiamo dell’area bersaniana, come Rosati. Questo potrebbe voler dire lasciare vuota la sua attuale poltrona. Per ora non è possibile fare pronostici.

Si attende Consenso. Nelle prossime settimane potrebbero esserci delle evoluzioni. Sembra infatti che a Milano stia per sbarcare ConSenso, il progetto politico di Massimo D’Alema. Stando alle indiscrezioni del quotidiano Il Foglio il leader Maximo avrebbe già cominciato a fare dei sopralluoghi in città. I suoi potenziali interlocutori sarebbero Rosati e Carlo Porcari, ex capogruppo in regione, per il quale l’avventura con il Pd è ormai tramontata. Questo il suo tweet di ieri: «Game over per il Pd, resta il PdR (Partito di Renzi, ndr)».