shootroomA Milano si torna a parlare di “stanze del buco”.  Ancora una volta a sollevare il problema sono i Radicali, come due anni fa. Il testo, come nel 2012, chiede la creazione di “stanze salvavita da iniezione, per un servizio di riduzione dei danni sanitari e sociali legati al consumo di stupefacenti”. Solo che oggi non è una delibera di iniziativa popolare ma una mozione depositata in consiglio l’11 marzo, a firma del radicale Marco Cappato con l’avvallo di Luca Gibillini e Mirko Mazzali di Sel e Rosaria Iardino del Pd . Tre le sale richieste, nelle vicinanze di ospedali e affidate a personale formato alle dipendenze di Palazzo Marino o di associazioni di volontariato.

La mozione, spiega Cappato, “riprende il testo della proposta che fu sottoscritta da oltre 5.000 cittadini e che era stata bloccata dai Garanti del Comune”, quel triumvirato di avvocati preposti  tra le altre cose a vagliare le petizioni popolari. La proposta, così come è stata presentata, non comprende fatti costituenti reato, spiegano i promotori,  anche grazie “alla normativa ora modificata dalla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi”.

“Qualcuno ci salvi Milano dalle follie di questa sinistra”, ha commentato il consigliere leghista Igor Iezzi, dando voce ai suoi. Già nel 2012 la proposta aveva sollevato diverse polemiche. Tutta l’area del Popolo della Libertà, e non solo, aveva giudicato irricevibile l’idea di stanze del buco milanesi: “È contraria alla deontologia medica che vieta di somministrare veleni ai pazienti – aveva detto l’allora responsabile delle politiche antidroga Carlo Giovanardi – ed è fallita ovunque sia stata sperimentata in Europa. L’Italia invece ha recentemente firmato con gli Stati Uniti, per volontà dell’amministrazione Obama e del Governo Berlusconi, un accordo condiviso ed apprezzato in sede Onu che punta sulla prevenzione e sul recupero e non certo alla cronicizzazione del tossicodipendente”.

Affermazioni, queste, considerate discutibili da molti. A oltre vent’anni dalla prima “dose di stato”, in Svizzera, nel 1986, non c’è chiarezza sugli effetti sociali dell’iniziativa. Attualmente spazi pubblici dove stupefacenti vengono somministrati in maniera controllata sono presenti in diversi città europee, da Berlino a Parigi ad Atene. Ma, come riportato dall’inchiesta del Fatto quotidiano, gli effetti sembrano essere ambigui: se da una parte le narco-sale farebbero calare i decessi dovuti a overdose, dall’altra favorirebbero il consumo. In Gremania, ad esempio, si stima che fra il 2010 e il 2011 la mortalità sia calata del 20%, mentre i consumatori di droghe pesanti siano saliti del 15%. “In un’inchiesta condotta di recente in una sala a Rotterdam, in Olanda, gli utenti hanno indicato un calo del consumo da quando frequentano la sala nel 12% dei casi. Ma una crescita nel 16%”, riporta l’articolo.

Per ora, comunque, l’idea di stanze del buco in Italia non ha attecchito, nonostante se ne parli da anni. Torino è stata una delle pioniere nel lanciare la proposta, nel 2007, ma anche allora finì in un mare di polemiche e un nulla di fatto. È probabile, a giudicare dal silenzio stampa con cui l’ha accolta il sindaco sui social network, che la mozione milanese sia destinata alla stessa fine. Giuliano Pisapia, infatti, che pareva dovesse includerle nel programma quando nel 2011 si candidò a guidare Palazzo Marino, già allora aveva preferito glissare sull’argomento.

Eva Alberti