TAG_Milano

Uno struzzo di cartone a grandezza naturale. Tra sacchi arancioni al posto delle sedie e un biliardino formato gigante. La creatività può abitare anche in un anonimo palazzone di tre piani. È nel cuore della periferia milanese che giovani talenti crescono, siano blogger e imprenditori, sviluppatori web ed esperti in pubbliche relazioni. Lavorano gomito a gomito e smartphone contro smartphone. Perché, soprattutto quando si produce davanti allo schermo di un pc, il contatto umano e la condivisione diretta di esperienze diventano ancora più importanti.

È questo Talent Garden – Tag Milano. Un eden di 3.000 metri quadrati e 250 postazioni, aperto giorno e notte, dove nuovi e vecchi professionisti pagano 250 euro al mese per affittare una scrivania e avere la possibilità di coltivare relazioni e contatti. Tutto o quasi è fatto di cartone, dai tavoli alle sedie. L’ideale per giovani che per lavorare hanno bisogno solo di un portatile e di una connessione wireless. I “talenti” sono ammessi nel “giardino” solo dopo un colloquio che ne accerta socialità e creatività. La filosofia è quella del coworking, la condivisione degli spazi di lavoro, ma lo spirito di fondo è quello della Silicon Valley californiana: mettere a contatto menti brillanti per favorire l’innovazione, specie a partire dal web.

Chi approda in Tag, infatti, è quasi invariabilmente un professionista del digitale. C’è chi si è inventato una startup con un amico, chi sviluppa applicazioni per il cellulare, chi è attivo sui social network o su un blog, chi si occupa di vendite online e così via. Si definiscono con una lingua che è un misto tra il business English e un nuovo vocabolario della Rete: ecco un digital marketing specialist, una social media editor, un’esperta di social media per l’entertainment e perfino un rainmaker. E chi sarà costui? «È l’uomo che fa accadere le cose, in gergo un imprenditore che fa business con le startup», spiega Francesco Inguscio, 31 anni da Padova, professione, appunto, rainmaker. La sua «startup per le startup» – non a caso – si chiama Nuvolab, e si occupa di fornire supporto a chi ha un’idea e vuole buttarsi nell’impresa.

Francesco Inguscio, 31 anni, fondatore di Nuvolab

Inguscio ha una laurea in finanza ma voleva fare l’inventore. Il suo primo brevetto, uno spazzolino da denti con dentifricio integrato, l’ha depositato a 23 anni. Poi ha rinunciato a un posto in Banca Intesa per andare con una borsa di studio a Palo Alto, California, a scegliere progetti degni di crescere. Due anni alla velocità della luce e poi il ritorno in Italia. «Non credo al mito dell’impresa venuta su in un garage: lo “startupparo” americano ha in media 46 anni, venti dei quali passati a lavorare in Google», è l’insegnamento che ha avuto dagli States. «Una buona idea non basta, occorrono competenze in gestione dell’innovazione».

Per lavorare nel web, però, avere un’idea propria non è indispensabile. Si può anche mettersi al servizio di idee di successo che offrono posti di lavoro. Così ha fatto Elena Lavezzi, 26 anni, community manager e dipendente di Uber, un’impresa nata a San Francisco che si sta espandendo in Italia e che offre autisti privati di auto di lusso.  O anche Edoardo Raimondi, 29 anni di Milano, che lavora per YouDeal, un aggregatore di offerte e-commerce che permette di confrontare le più convenienti. «I prodotti web di successo sono cornici per far fare agli utenti ciò che vogliono. Quindi le professioni del futuro saranno legate ai contenuti dinamici, ma anche al trattamento dei dati, al design, ai social media e alla nuova comunicazione», è il suo ragionamento.

Elena Lavezzi, 26 anni, lavora per Uber Edoardo Raimondi, 29 anni, un impiego nell'e-commerce

E anche i mestieri vecchio stampo devono andare al passo con i tempi. «È fondamentale farsi pubblicità con un sito o un blog», consiglia di Alice Caputo, fotografa di 23 anni, scrivania al primo piano in fondo a destra. Nata a Paderno d’Adda in provincia di Lecco, ha vinto il Sony World Photography Award categoria professionisti con un reportage di vacanze in Liguria con i genitori. Per un periodo ha fatto interfacce per app con un’agenzia di comunicazione, ora va avanti a collaborazioni e auto-promozione via internet.

Alice Caputo, 24 anni, fotografa

Il nerd solitario, il ragazzino geniale e smanettone del tipo di Mark Zuckerberg (il fondatore di Facebook) è in fondo un’eccezione. Basti pensare che la stessa cultura d’impresa americana è tutta basata sul lavoro di squadra, un modello che ha iniziato a fare breccia in Italia grazie anche a spazi come Talent Garden. Non a caso Tag è una rete in espansione: ha sedi a Bergamo, Brescia, Padova, Pisa, Genova e Torino. E c’è da credere che non faticherà a trovare nuovi talenti, almeno considerando l’impennata, negli ultimi cinque anni, di giovani “smanettoni” (vedi infografica in basso). I dati Istat parlano chiaro: i diciottenni italiani che nel 2008 si connettevano alla Rete erano il 35,3 per cento, nel 2012 sono schizzati al 65,7 per cento. È in arrivo anche in Italia l’ondata dei Millennials, come li ha definiti David Burstein: i giovani che oggi hanno tra i 18 e i 30 anni pronti a cambiare, nella visione dello scrittore, il mondo della tecnologia, della cultura e della socialità. E del lavoro, naturalmente.

«Sta nascendo una comunità pazzesca», conferma Francesco “Kiko” Corsentino, 27 anni, co-fondatore di Tag Pisa, riferendosi alle collaborazioni tra i professionisti del “giardino”. Che chattano su Facebook anche se lavorano a pochi metri di distanza, ma non rinunciano a una chiacchierata davanti a un caffè. «Trovi un ostacolo in quello che fai? Basta una scivolata con la sedia a rotelle per chiedere consiglio a un collega. In tutte le scrivanie siamo sempre connessi, ma a un certo punto ci alziamo e ci sediamo sul prato».

Curioso. La Silicon Valley italiana, la culla del lavoro digitale, è fatta di cartone.

Lucia Maffei